> Mi ricordo di ...
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Gente di caruggi -
Primmu mazzu
(Primo Maggio)
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Bandiera rossa trionferà / evviva il comunismo e la
libertà. O bianco fiore, simbol
d’amore / con te la gioia
della
vittoria...
È chiaro che
intendiamo ricordare i due grandi antagonisti politici (di
allora) per eccellenza: il PCI e la DC (Partito Comunista
Italiano e Democrazia Cristiana).
Alla caduta
del Fascismo (25 luglio 1943), i due
cane e gatto hanno
fatto sentire la loro voce, che la dittatura aveva soffocato
per vent’anni. E Carloforte, già teatro delle note vicende
cittadine tra
cappe gianche e cappe naigre,
rispolverò il dualismo politico. L’occasione migliore, una
volta all’anno, era
p’au primmu mazzu.
Chi l’ha
battezzata
festa del lavoro, forse non conosce bene la
Bibbia, dove è indicato chiaramente che il lavoro non è una
festa, ma una fatica.
Ma niente
vieta che i lavoratori si concedano qualche momento di relax,
proprio per rinfrancarsi dal lavoro. Ecco, allora, il primo
maggio universalmente noto come
festa dei lavoratori.
Carloforte, dopoguerra, fino agli anni cinquanta. Già al
mattino ci si sveglia con le note dell’internazionale
socialista
(Su fratelli e su compagni... splende il sol dell’avvenir),
suonato dalla banda cittadina, che passa per le strade ad
augurare il buon giorno.
Poi i carri.
La sera precedente si cominciava la vestizione, rigorosamente
color rosso. Al mattino si ultimavano gli addobbi. Poi la
sfilata: partenza dal Cavallera, con bandiere, foulards,
coccarde, striscioni, camicie e berretti, tutto assolutamente
rosso porpora. Un giro per le vie principali (Lungomare, XX
Settembre e Roma).
Poi, il momento più atteso: non tanto
quello del discorso (quasi comizio) noioso, tenuto da un
politico foresto; quanto invece il ritrovo gastronomico
a Calalunga. Sotto gli alberi di pino, si gustavano i frutti
che i lavoratori ricavavano dalla terra e dal mare: arrosto di
carne e di pesci, innaffiato di vino anch’esso rosso (ma, qui,
non si rifiutava un eventuale bianco). Poi, canti e balli
popolari.
E i
lavoratori dell’altra bandiera? Si guardavano bene dal
contaminarsi partecipando alla sfilata. Ma non sia mai detto
che anch’essi non celebrassero la loro brava giornata: si
davano appuntamento a Spalmadoreddu; dove si sacrificavano
altri
cravetti e pesci alla griglia (che non hanno
colore politico). Anche qui, conclusione scontata: canti e
allegria varia.
Alla sera
gran rientro: da Calalunga scendevano i rossi al canto di
bandiera rossa...; da Spalmadoreddu si incamminavano i
bianchi, al canto di
bianco fiore...
Presso il
monumento, incontro tra i due cortei, che si scambiavano
sorrisi e convenevoli:
Uè! Cumme ve l’hai passò?... Ciao...
Se vedemu! E ognuno proseguiva nel suo corteo.
E Pittaneddu,
dall’alto del piedistallo, guardava e sorrideva.
Altro tipico
esempio: i ragazzi passavano davanti alla sede (l’oratorio)
anche loro al canto di
bandiera rossa; incontrando il
sacerdote, salutavano
Cristo regni e riprendevano a
cantare
bandiera rossa. Era la cosa più semplice e
naturale.
Questo era
il 1° Maggio a Carloforte, versione dopoguerra (fino agli anni
cinquanta): una festa di amicizia, più che di fazione
politica.
Col passare
degli anni, i cortei hanno perso mordente. Le nuove
generazioni non rinunciano, certo, alla gita
fuori porta,
che ha perso il colore politico. Rimani, sì, il rosso di
bandiere e foulards; ma è indice della festa, non un
distintivo partitico.
Quant’acqua
è passata sotto i ponti!
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