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Gente di caruggi -
Don Kilometro
(Franco Servetti)
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A
Carloforte,
andare all’arrivo era un
dovere
quotidiano (e per qualcuno lo è ancora): trovarsi davanti
al molo dove attracca il traghetto, per vedere chi parte e chi
arriva, i marittimi che sbarcano, i commercianti che
rientrano, i
galanti che si salutano con tante
rulle.
Quella sera
di fine agosto 1951, tra i passeggeri che sbarcavano dal
Gallura, c’era un prete, lungo come un chilometro.
Questa
definizione, sfuggita a uno degli abituali spettatori
dell’arrivo, non è caduto in terra. Così don Franco Servetti
fu subito don Kilometro. Appellativo azzeccatissimo. Il nuovo
acquisto religioso era alto quasi due metri: proveniva da Bra,
piccolo centro del Piemonte, in provincia di Cuneo.
Don
Kilometro si fece subito benvolere per la sua cordialità, che
esternava con tutti, particolarmente coi ragazzi. Con lui, la
sede (attuale oratorio) diventò il vero punto di riferimento,
la seconda casa per tutti i ragazzi di Carloforte.
Sessant’anni
fa, i preti si distinguevano perché vestivano ancora da preti.
Don Kilometro si distingueva anche perché la sua testa
spuntava sempre su tutti;
e per mettere una mano sulla spalla dei ragazzi, abbassava un
braccio come un remo. Con l’altra mano si tirava su i capelli
(anche questi lunghi) e si aggiustava la sciarpa nera che
portava sempre attorno al collo, anche d’estate.
Per le
strade di Carloforte era facile incontrarlo: dentro un lungo
abito nero, don Kilometro alla pesca dei ragazzi, per formare
la squadra di calcio dell’Aspiranvirtus. Molti
sessantenni (e oltre) di oggi hanno giocato nella gloriosa
squadra, in lotta continua con l’antagonista locale
Garibaldi.
La domenica
pomeriggio, le due tifoserie si affrontavano stando in piedi
ai bordi del campo sportivo (la tribuna era ancora un sogno).
E a ogni goal, un boato faceva tremare i vetri delle case
vicine e la cima del monumento ai caduti, lì a fianco: mentre
l’eco si ripercuoteva fino a Pittneddu, al lungomare.
Lo scontro
sportivo continuava anche dopo il fischio finale dell’arbitro:
garibaldini e aspiranvirtini scendevano le scale del viale
Parodo discutendo animatamente con poca voce (l’avevano persa
gridando durante la partita) e con ampi gesti delle braccia.
Don Kilometro era lì in mezzo.
E chi non
ricorda il
Grest? Era il
gruppo estivo, così si
chiamava il campeggio che si svolgeva nei locali dell’ostello
della gioventù, gentilmente concesso.
Per i
ragazzi era un’esperienza forte di socializzazione, pur nello
spirito del divertimento sano ed educativo. Essi pensavano al
grest tutto l’inverno; ne parlavano con ansia in
primavera, dopo la scuola, partenza. Per il trasporto c’era il
pulmino di Cipollina e il camion di Angioletto o di Munega,
stracarichi di un’allegra brigata di sciuscià, tra bagagli di
ogni tipo e dimensione.
Sembrava un gruppo ritardatario di ebrei quando uscirono
dall’Egitto.
Il campeggio
estivo durava quindici giorni, sempre troppo pochi per i
ragazzi che tornavano a casa con qualche graffio nelle gambe e
qualche strappo sugli abiti; ma pieni di entusiasmo. Don
Kilometro tornava a casa senza soldi.
Il sacerdote
calamita ha lasciato Carloforte nell’estate del 1954. È
ritornato, qualche volta, durante i suoi viaggi in Sardegna,
col movimento giovanile Pax Christi.
Ma in questi
cinquant’anni anche don Kilometro è cambiato. È sempre
spilungone. I capelli cascano sempre da un lato. Ma la sottana
ha ceduto il passo a un abito color fattorino del bus, con la
giacca sulle spalle.
È sempre prete di Dio, impegnato nel
movimento giovanile. Però, lontano da Carloforte, don Franco
non è più don Kilometro.
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