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Gente di caruggi -
Tanôa
(Paolo Rivano)
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Qualche
tempo fa, la città di New York fu paralizzata da uno sciopero
dei netturbini per alcuni giorni. Sembrerebbe che una
metropoli così grande possa risentire solo se si astengono al
lavoro i ferrotranviari della metropolitana. Sembra, ma non è
così.
Gli
operatori ecologici (si chiamano così) sono altrettanto
importanti, perché altrettanto utili; diciamo pure necessari
per la salute di una città.
Paolo
Rivano, meglio indicato come Paulin Tanôa, apparteneva a
questa categoria. Un buon uomo che possiamo definire un uomo
buono (cambiando il posto all’aggettivo, cambia anche il
senso), nella sua semplicità aveva un cuore sensibile.
Per lui
il traghetto non era un mezzo di trasporto freddo,
anche se di ferro: era un caro amico, che ogni tanto gli dava
un passaggio a Portovesme e ritorno.
A noi
l’espressione
Me coêu, i draghetti han piggiàu fràidu
può far sorridere; ma Paulin la pronunciava con convinzione,
senza preoccuparsi che gli altri potessero pensare
stu chi
u l’è nesciu.
No, non lo
era. Viveva in una dimensione che lo proiettava in un piccolo
mondo, dove lui era il re e unico suddito. Aveva le sue
certezze. E tanto gli bastava. E se gli altri non le
condividevano, peggio per loro.
A Natale
andava in chiesa a baciare il Bambino. Tutti gli altri, dopo
il rito del bacio, uscivano. Paulin si rimetteva in fila e
ripeteva il gesto di devozione due o tre volte. I bambini si
comportano allo stesso modo per ricevere una caramella in più.
Ma fanno così anche gli adulti in piazza, nella festa di S.
Giovanni Battista, per ricevere doppia porzione (gratuita) di
tonno o di canestrelli! E allora, nessuna meraviglia che lo
facesse anche Paulin;
e con intenzione ben superiore, almeno per chi ci crede.
Tanôa era
l’unico carlofortino che avesse conservato un’antica
tradizione: quando il prete benedice il mare (il primo giorno
delle rogazioni), era uso farsi il bagno, per inaugurare la
stagione estiva. Poi questa tradizione è andata in disuso.
Paulin l’ha sempre fatto: il giorno della benedizione del
mare, si tuffava in acqua, anche se fredda.
A dire il
vero, gli si dava poca importanza. Ma il mondo è grande e
ognuno occupa il posto conveniente.
E qualcuno,
specie fra i più giovani, aveva la stupida idea di dargli
fastidio, Paulin lo rincorreva;
ma non lo aggrediva, pur essendo più alto. Lo avvicinava per
esortarlo:
E fa l’omu.
Quanta saggezza in due parole!
Qualche
altra volta, invece non gli riusciva di trovarsi faccia a
faccia con l’improvviso avversario; allora gli indirizzava un
improperio mormorato a catena:
T’è da fò ‘na mola morte!
Le
circostanze della vita, invece, si sono accanite contro di
lui. Paulin, ogni tanto, si concedeva una gita fuori porto
(non è un errore, è giusto così): si imbarcava sul traghetto
con motorino al seguito, e raggiungeva Portovesme. Anni prima
che la Susanna Tamaro scrivesse
Va’ dove ti porta il cuore,
Paulin già lo faceva. Ma quel giorno non ritornò. Nella zona
industriale, un’auto lo falciava, lasciandolo privo di vita
sull’asfalto. Mani pietose lo raccolsero e gli diedero
sepoltura nel cimitero locale.
Ma era più
giusto che Paulin Tanôa riposasse
in tu Zuncu, non
lontano dai caruggi, che tante volte aveva percorso e
ripulito.
E così
ritornò fra noi. Per sempre.
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