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Gente di caruggi -
Darca
(Angelina Mazzella)
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Se avesse
segnato tutte le ore dedicate alla religione (messe e altre
funzioni sacre), avrebbe superato abbondantemente qualsiasi
prete.
Angelina
Mazzella – popolarmente nota
A Darca – era la classica
donna semplice, che scandiva la sua giornata al suono delle
campane, spostandosi a triangolo fra casa, chiesa e S. Pietro
(in ta vigna) e viceversa.
Vestiva
sempre di nero. Ma non era vedova, perché non contrasse mai
matrimonio. Forse il suo ritmo di vita non le aveva lasciato
il tempo di pensare alle nozze.
La sua
giornata cominciava in chiesa, con la messa delle 6.30;
durante la quale recitava sempre il rosario, anche quando le
uniche persone presenti erano lei e Lucietta. E doveva
portarsi la sedia da casa, se voleva inginocchiarsi, perché la
chiesa era assolutamente spoglia di banchi.
Poi andava a
S. Pietro ad attendere ai conigli e
a dô da baive ai sciue.
Il più delle volte mangiava là, nella
barracca
molto
modesta.
Rientrava
nel pomeriggio, in tempo utile per partecipare a qualche
funerale e alla funzione della sera, con altri rosari e stesso
trasporto della sedia (per fortuna abitava vicino). Chiudeva
la giornata serrandosi in casa, dove viveva sola. Per lei
l’ua de nôtte poteva anche non suonare: a quell’ora era
già a letto.
La sua
modestia era pari alla delicatezza d’animo. Non si intrigava
delle faccende degli altri, di cui diceva solo il bene
possibile. Il male lo compativa, dicendo:
miserie della
Chiesa di Cristo.
La
Darca
ha fatto lezione di catechismo a generazioni di bambini per
prepararli alla prima comunione. Gli unici sussidi didattici
erano il catechismo di Pio X (domande da studiare a memoria) e
tanta pazienza della catechista; che ci lasciava la gola per
tenere buoni una masnada di
bandii (nel senso
dialettale).
Soprattutto
durante la funzione serale, si eseguivano i canti per la
benedizione eucaristica. Se non lo faceva il sacerdote o
l’organista, la Darca si prestava anche come intonatrice ed
esecutrice di melodie religiose. Conosceva un repertorio di
canti più di un prete, in italiano e in latino. Questi ultimi,
spesso, non godevano dell’esatta pronuncia. Poco male: Dio
parla tutte le lingue e capisce al volo le parole che i fedeli
non sanno pronunciare.
Particolarmente riservato alla signorina Darca era preparare
il Crocifisso e il Cristo morto, per le cerimonie del venerdì
santo. Per il Crocifisso provvedeva anche al velo nero, di
pizzo ricamato. Per il Cristo morto, portava dalla campagna i
fiori d’arancio, con cui adornava il simulacro, ricoperto di
un lenzuolo di tulle bianche. Rito che ha eseguito per anni e
anni, finché è vissuta.
Sempre in
settimana santa: la sera del giovedì, dalle ore 23 alle ore
24, si usa fare l’ora santa notturna. Quindi la chiesa rimane
aperta tutta la notte: c’è sempre un gruppetto di fedeli che
amano vegliare in preghiera. La Darca era sempre al suo
posto, nella prima fila, verso il centro. Diceva:
U l’è u
me vegliun.
Ma nel 1962
il parroco, forse non conoscendo le tradizioni locali, dopo
l’ora santa, disse che la chiesa poteva rimanere aperta solo
se c’era una persona che si assumesse la responsabilità della
custodia. Nessuno si fece avanti. Vista la mal parata,
Angelina afferrò la sedia e si avviò all’uscita, intonando
Mi parto, Dio, da te...
Da quando
ebbe l’uso di ragione, fu la prima volta che non poté dedicare
la notte al suo veglione.
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