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Gente di caruggi -
Cinato e D'Estè
(Pasquale e Antioco Obino)
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Pochissimi
sapevano il loro vero nome. Uno era detto Cinato, e basta; fin
dalla culla. Alla nascita uno zio venne a visitare il bel
bambino. E lo trovò terribilmente assomigliante ad un alassino
(originario di Alassio), di nome Cinato, che lavorava nella
tonnara della Punta. Vedendo il nipotino, lo zio esclama
“Oh,
u l’è tüttu u Cinato l’arascin”. Quanto, poi, il visetto
roseo di un neonato potesse rassomigliare alla faccia riarsa
dalla salsedine di un tonnarotto, è difficile da capire. Ma,
evidentemente, il nome esotico dev’essere piaciuto tanto in
famiglia; e il piccolo Pasquale se l’è portato addosso come un
tatuaggio. E fu Cinato per tutti, per sempre. Nessuno mai lo
chiamò Pasquale. Anzi, egli stesso si autoindicava col nome
assimilato nella culla.
“Vedi
quel palazzo? – dice un giorno, con orgoglio, ad un amico
– sai chi l’ha creato?... Cinato!”. Era l’abitazione di
Checco da Curnelia (in via XX Settembre) di cui andava fiero.
Si, Cinato
fu un bravo capomastro, quando professionalità e buon gusto
permettevano di costruire belle case senza laurea.
Il
materiale, l’ingegnere mancato lo acquistava dal fratello, D’Estè.
Altro nome esotico. È facile capire che gli Obino non dovevano
scervellarsi troppo per dare un nome ai figli: prima o poi,
qualcuno gliel’avrebbe affibbiato.
Così
Antioco (in volgare,
Antiòcu), fratello del
fratello, per tutti era semplicemente
D’Estè. Se l’era
guadagnato lui stesso, usando la parola come intercalare.
Guardando una bella ragazza esclamava:
“a l’è proppiu d’estè”
(ironia della sorte: lui non si è sposato).
Dalla
ripetizione, l’intercalare gli è rimasto come individuazione
popolare. E fu D’Estè.
Egli preferì
rimanere
“zonu” (celibe) per essere libero di vestire
sempre da giovanotto e andare a ballare quando si sentiva i
piedi scappare. Fu l’unico carlofortino che, la domenica e
feste comandate, metteva il
papillon
(farfallina) che portava con autentica signorilità. Ballerino
spassionato, sull’altare del ballo giunse a sacrificare
perfino la politica: per una volta entra
al cinema Mutua, tempio dei
“bianchi”
(i
“rossi” come lui frequentavano il Cavallera).
Osserva le coppie danzanti. Lo colpisce lo scarso stile di
Ninì Leoni, il tenore cittadino. Nell’intervallo D’Estè gli si
avvicina e gli sussurra:
“Ti saviè ben cantò, ma ballò…”.
Cinato
godeva di tante amicizie e le coltivava con diligenza. Per
esempio: non mancava di andare
“a vegliò i morti”.
La madre defunta di un amico fu composta nella bara; il
coperchio, sistemato orizzontalmente su due sedie,
nell’anticamera, con sopra il cuscino di fiori.
Viene un parente a rendere omaggio alla defunta. Come vede il
coperchio, vi si inginocchia davanti e comincia a piangere
lacrime di dolore.
Cinato assiste alla scena; batte un dito
sulla spalla dell’afflitto e gli fa:
“O gnoccu, stuchì u
l’è u cuèrciu; a pignatta a l’è de là”. In bocca ad un
altro l’espressione sarebbe apparsa poco rispettosa; ma, detta
da Cinato, ha suscitato solo una risata collettiva di
complicità.
Però Cinato,
a modo suo era devoto: essendo nato il 13 giugno, nutriva
simpatia per S. Antonio. Prima guerra mondiale. Destinato al
fronte, passa a trovare il santo amico a Padova; e gli
promette: se mi fai ritornare a casa sano e salvo, darò il
tuo nome al primo figlio che mi nascerà
(era tanto amico
del santo, che gli parlava con molta confidenza).
E così fu.
Cinato combatté valorosamente sulle montagne del Carso e tornò
illeso dalla disfatta di Caporetto. Mantenne la promessa; e
chiamò la figlia Antonietta.
In fin di
vita, si rivolgeva al santo di Padova (nel quadro) e lo
chiamava
fratello. Che cosa rendeva simpatiche e
amabili, persone di questo tipo? Quello che si dice un bel
carattere e un grande amore per la famiglia.
Quando la
moglie di Cinato si ammalò definitivamente, talvolta le figlie
manifestavano stanchezza nell’assistenza, perché il male la
rendeva del tutto assente. Cinato le incoraggiava:
“Adesso,
la
mamma è come un bell’orologio prezioso, che non funziona
più; ma ha funzionato tanto nella sua
vita. Ora noi possiamo
ammirarla con gratitudine”.
Risposte
come queste meriterebbero un premio speciale.
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