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Gente di caruggi  -  Munega

(Ditta Maurandi)

 

 

 

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Il marchio Munega ha siglato il primo servizio di autotrasportatori nell’isola.

I fratelli Maurandi, Pino e Ginetto, iniziarono in società con un camioncino “1100”, per il trasporto di merci varie, specialmente pietre e sabbia.

Allora la gente andava in ta vigna a piedi. Al sopraggiungere del camioncino, non pochi chiedevano un passaggio. Si accontentavano di viaggiare sulla sabbia o in mezzo alle pietre.

In breve tempo, i Munega trasportavano più persone che merci. Non conveniva trasportare le persone gratis, a scapito delle merci. La conclusione è chiara: nacque l’idea del trasporto urbano passeggeri.

Mezzo: stesso camioncino “1100”; sedili: panche di legno nel cassone ricoperto da una tenda; corse giornaliere: due per linea; prezzo del biglietto: Macchione L. 25, Pescetti 60, Chinolle 75, Caletta 110.

Era il 1950. Carloforte aveva fatto un salto di qualità: Munega favoriva la mobilità dei tabarkini all’interno dell’isola, anche se nel cassone di un “1100”. Lo stesso mezzo, poi, sostituì il vecchio carro funebre (ma questo servizio, presto, sarà effettuato da u Cipollina).

Il trasporto civile andò avanti così, per qualche anno.

 

Poi arrivò il vero pullman: un Alfa Romeo 460, posti a sedere numero 50. Domanda: come ha fatto Munega a importare il pullman, quando il traghetto non esisteva? Così: Pino condusse il mezzo da Sassari (dove l’aveva acquistato) a Calasetta. Qui c’era Annunziata, la barca di Damiano (Cesarale), che faceva trasporti tra Cagliari e Carloforte.

Con duì tôluìn pe’ traversu dalla banchina, il pullman tentò di entrare nella barca. Ma questa subito si inclinò, tenendo il pullman incastrato tra la sponda e la banchina. Munega u va a gambe a fô gente nei dintorni del porto, per fare da contrappeso: e così riportarono la barca in equilibrio.

All’arrivo a Carloforte, insci-ù mêu ghè u mundu! I concittadini andarono a congratularsi con Munega per la nuova attività? Non esattamente: la notizia che il pullman stava per cadere in mare era arrivata prima della barca!

Ma fu un piacere per Munega, che disse: Bella gente, za che sai chì, deme ‘na man a nu fô imbossò a borca. Così tocco terra au paize il primo pullman della storia del trasporto civile (l’avventura dell’imbarco valeva ben ventimila lire).

 

Le strade non asfaltate dell’isola mettevano a dura prova le balestre, che partivano facilmente. Per cui, in pochi anni, si dovette sostituire diversi pullman: dopo l’Alfa Romeo arrivò il Leoncino, poi il Tigrotto; trasportati senza avventura, con i mini-traghetti della flotta Aversano, S. Cuore e Dio Onnipotente (che garantivano sicurezza nell’imbarco e nella traversata).

Ma benché i saccolli, inizialmente, fossero più dolci, i passeggeri non si accorgevano del cambiamento: ogni pullman nuovo era attrezzato come il precedente, con lo stesso numero di sedili.

Insomma, era un pullman monotono, senza la poesia del primo Alfa Romeo. Alle corse regolari, si aggiungevano i noleggi per i privati, soprattutto gruppi (vedi il trasporto dei bambini delle colonie alle diverse spiagge).

 

Munega effettuò il servizio dei passeggeri per venticinque anni circa, fino al 1976. Da allora tale servizio interno dell’isola è effettuato dalle Ferrovie Meridionali sarde.

Con questa differenza: il pullman FMS trasporta passeggeri anonimi da una fermata all’altra del percorso; Munega trasportava tabarkini in ta vigna. Che significa: una fermata intermedia (non in programma) per far scendere o salire una persona, era la cosa più normale, che si poteva ripetere ogni giorno.

Esempio: una giornata d’inverno (di quelle che si avevano una volta); Munega raggiunse un vecchietto che ritornava dalla campagna con l’asinello. Tutt’e due grondavano acqua, scui cumme pullin. Pino si fermò e invitò l’uomo a salire. E l’azenìn? – Chiese il poveretto- L’imbarchemmu lè ascì! – rispose l’autista. Allora, lui tirò la fune du muraggiu; mentre il proprietario spingeva l’asinello pàu derré. Con un pò di forza e buona volontà, anche l’azenìn, per la prima e ultima volta in vita sua, viaggiò da passeggero.

 

Il giorno dopo, sul tetto del pullman (parcheggiato dàu Grixiu) un burlone fissò la caricatura dell’autista con l’asinello a bordo del pullman. Se voleva essere una presa in giro, non è proprio riuscita: perché Munega era più che soddisfatto (di aver compiuto un gesto di umanità); figuriamoci l’asinello!

 

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Il nome Munega ripropone in particolare uno dei fratelli: Antonio.

È Natale. Messa di mezzanotte. Tra i doni presenti dai fedeli, vi è un cestino di canestrelli, che viene posato sulla balaustra vicino au cagnìn (il leoncino di marmo). Ricevuti i doni, il sacerdote sale sull’altare per continuare il sacro rito. Dal fondo della navata, avanza un uomo, lento, noncurante degli sguardi che lo fissano. Giunge alla balaustra e si ferma un istante davanti ai canestrelli.

Poi, dice a mezza voce: Sulu a lé? A mi ascì in canestrellu. Si serve tranquillamente dal cestino e ritorna sorridente al suo posto. Così era Nino Munega (Antonio Maurandi): una persona libera, come libera era stata la sua vita.

 

Nino era nato a Londra (dove il padre lavorò, per alcuni anni, nell’industria dei pelati Cirio); perciò parlava bene l’inglese. Non solo: nelle sue vene scorreva sangue tabarkino; ma il suo cuore pulsava con ritmo britannico. Ogni occasione era buona per manifestarlo.

 

Al cinema Mutua, Munega assisteva ad una proiezione. Ecco una scena in cui si suona l’inno nazionale inglese. Come sentì le prime note, Nino scattò in piedi, cantando a mezza voce. E invitò gli spettatori a fare altrettanto, in onore della regina.

 

Notoriamente, era uno di quelli giudicati non del tutto in equilibrio: Ma era assolutamente innocuo e spontaneo nelle sue ,manifestazioni estroverse.

Come mai questo comportamento? Frutto delle guerre, cui aveva dato dieci anni della sua vita imbarcato sul cacciatorpediniere “Scirocco”. Gli sbarchi in Albania e a Tripoli avevano segnato profondamente l’animo e il fisico di Nino, giovane aspertu come pochi.

In quelle missioni di guerra, aveva preso l’abitudine di bere, per vincere la paura. L’inconveniente per lui: le guerre son passate; l’abitudine è rimasta.

Il suo rientro dal Nord Africa sarebbe un ottimo soggetto per un film d’avventura: dall’Africa in Spagna, e da qui in Italia, aveva sempre viaggiato clandestino su navi di fortuna, senza un soldo.

A Genova era sceso dalla nave in slip, unico indumento che possedeva. Alla polizia che gli domandò: Ma tu, chi sei?, rispose: L’angelo custode.

 

 

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Testi estratti da "GENTE DI CARRUGGI" e da "GENTE DI CARUGGI 2" entrambi di Daniele Agus

Alcune immagini sono prelevate da "CARLOFORTE, ISOLA DI SAN PIETRO" di Antonio Torchia

 

 

 

 

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