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Gente di caruggi  -  Lagreccia

(Cesare Leone)

 

 

 

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La sua prima attività fu la falegnameria. Ma, evidentemente, le commissioni scarseggiavano. Per cui aveva pensato ad un tipo di lavoro che non avrebbe mai esaurito la materia prima: vendere bare. Così Cesare Leone si era assicurato un vitalizio, a prima vista un pò macabro; ma u Ceserin Lagreccia lo svolgeva con grande passione e disinvoltura.

 

Al tempo in cui le scarpe non si acquistavano alla città mercato o nei saldi di fine stagione, i banché erano più che artisti; scolpivano a mano i cappi che uomini e donne usavano nelle faccende domestiche e non.

Una signora si presentò nel laboratorio di Lagreccia e chiese, cortesemente, se poteva avere un paio di zoccoli. Ma u Ceserin trovò mille scuse e una per non soddisfare la gentile richiesta. E riprese a chiacchierare con gli amici (in ogni falegnameria di rispetto ci sono due o tre persone che guardano chi lavora al banco). Uno gli domandò:

  -  Ma perché nu ti gai fè, i cappi?

  -  Perché a nu m’accatte moi na cascia da mortu! (è chiaro che per Lagreccia era buon amico solo chi comprava le bare da lui).

  -  Te faggu ‘u scuntu – disse a un altro che gli chiedeva la bara per un parente defunto – perché sai clienti!

  -  Clienti du diàu - rispose l’altro, facendo i debiti scongiuri.

 

Lui parlava così, con tutto il candore di questo mondo. E perché dubitare della sua sincerità quando andava dai morti? Appena sentiva suonare n’angunìa (in lingua nazionale, buona morte, che qui si usa ancora) si informava chi fosse il defunto o la defunta (lui era competente e, dal suono delle pose, identificava se il morto era uomo o donna). Si componeva il viso e andava a rendere l’ultimo omaggio alla salma. E piangeva anche vere lacrime.

Poi esprimeva ai parenti sentita partecipazione al loro dolore; e li invitava a non preoccuparsi per la bara, perché ci pensava lui; il pagamento l’avrebbero potuto fare con comodo, anche a rate, con interessi zero.

 

Per mestiere e per simpatia u Ceserin contava moltissimi amici, pronti a fare o a ricambiare una cortesia. Un padrone marittimo commerciava con S. Antioco: esportava sale e importava calce. A u Lagreccia ne serviva un sacchetto: in ta büttega c’è sempre da dare un pò di bianco, per via della salsedine sull’intonaco. Ceserin salì sulla barca, appena arrivata, avventurandosi sul lungo tôlun traballante. Mise un piede in fallo e sü, u Ceserin in te l’egua!

I componenti dell’equipaggio si preoccuparono di tiralo su gridando:

  -  Piggè i crocchi.

Lagreccia, quando sentì che volevano arpionarlo come un tonno nella mattanza, sollevò la testa e, ancora annaspando, urlò: Ninte crocchi!

 

Prima che si demolisse la vecchia Casa del catechismo, per costruire il nuovo oratorio, Linetto Leone pensò di fotografare il vecchio immobile, per ricordo storico. Al momento, passò Ceserin Lagreccia, che si informò:

  -  Cusse ti fè?

  -  Ho da fò a futugrafia a tütte e cose vegge ch’an da muì. O Ceserin, metteve ‘n pò lì, davanti, che ve piggiu.

  -  Oscì, oscì.

Mentre si avviava per mettersi in posa, ripensò al motivo dell’invito. Si girò di scatto e disse:

  -  Vagni a spassiu! E lascime perde!

Eppure lui trattava familiarmente con la morte. Ma con quella degli altri.

 

 

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Testi estratti da "GENTE DI CARRUGGI" e da "GENTE DI CARUGGI 2" entrambi di Daniele Agus

Alcune immagini sono prelevate da "CARLOFORTE, ISOLA DI SAN PIETRO" di Antonio Torchia

 

 

 

 

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