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Gente di caruggi  -  Bernetta

(Salvatore Rosso)

 

 

 

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Erano tre le sue passioni e le viveva intensamente, ma secondo le debite precedenze: primo, il partito (socialista); secondo, il Demuro (poi teatro Cavallera); terza a gêxa (la chiesa). Così Salvatore Rosso, noto Bernetta, non faceva torto a nessuno: conciliava i diversi sentimenti, dedicando a ciascuno il tempo dovuto. Sarvatù Bernetta aveva ereditato il colore politico col nome stesso paterno (rosso).

La casa del proletariato, per lui (e per tanti compagni) era il tempio in cui si rafforza la fede nell’ideologia. Ma pure la chiesa è parte integrante della vita comunitaria. E, all’occasione, un bravo socialista è anche un buon cristiano.

Detto per inciso: la sera di Pasqua del 1956, si sviluppò un grosso incendio all’interno del Comune, attiguo alla chiesa. Tutti i fedeli carlofortini, senza risparmiare l’abito festivo, accorsero per domare l’incendio con un passamano di secchi d’acqua attinta direttamente dal mare. E dicevano: Semu vegnüi pe’ sarvò a gêxa, ninte u municippiu (sic). Questo aiuta a capire come, a Carloforte, socialismo e religione abbiano sempre convissuto (salvo pochissimi episodi di intolleranza; ma ormai tant’acqua è passata sotto i ponti).

 

Bernetta era assiduo frequentatore della sala cinematografica; ma solo quando si proiettavano film “lacrimogeni” (del filone Amedeo Nazzari e Ivonne Sanson).

Bernetta diventava di gesso, con uno sguardo fisso sullo schermo, aiutandosi con due lenti spesse, senza stanghette, tenute da un filo di spago dietro la nuca. Ogni tanto soffocava ‘n gruppu di commozione, mentre gli occhi si inumidivano. Uscendo, a chi gli domandava: cum’u l’è u cinema?, rispondeva: Amìeme i öggi!

 

E l’operetta dove la mettiamo? A quei tempi non era difficile che una compagnia si fermasse a Carloforte per una stagione, mettendo in scena diverse operette (si spiega così l’amore e la competenza dei tabarkini per questo genere di spettacolo).

Bernetta giocava in casa. In quella compagnia c’era una soubrette, con tutti gli attributi al punto giusto. Bernetta u vegniva propriu nesciu pe’ sta suenotta. E la corteggiava con tutte le moine concesse dal codice della cortesia italiana. I colleghi del Cavallera se ne accorsero e pensarono di combinargli uno scherzetto, complice la stessa soubrette. Durante una scena, u Sarvatù si lusingava dietro le quinte, con la giovane artista, che fingeva l’occhio languido. Sul più bello, i delinquenti allentarono una fune e... voilà, Bernetta nelle vesti di improvvisato Rodolfo Valentino. In sala tutti risero clamorosamente. Tutti, meno una persona; la moglie dello spasimante, sposina da una settimana.

Immaginate voi che cosa è successo in famiglia Rosso. Dopo un dialogo con scambio di parole irripetibili, la sposina proclamò uno sciopero coniugale: separatio tori per otto giorni. Alla fine l’amore trionfò. Bernetta e Terexa vissero a lungo felici, come nelle favole che si rispettano.

 

In religione Sarvatù era fedelissimo alle grandi processioni. Non cedeva a nessuno il posto vicino al celebrante, per poter seguire bene le preghiere e i canti. Soprattutto questi ultimi, li eseguiva avventurandosi in una seconda voce, a gola spiegata, leggermente tremula. La vocalizzazione non riusciva sempre al meglio, per via della placca che gli ballava in bocca. Ma nel bel canto, le parole sono secondarie.

E Bernetta, grande intenditore di operette, poteva permettersi anche di cantare così.

 

 

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Testi estratti da "GENTE DI CARRUGGI" e da "GENTE DI CARUGGI 2" entrambi di Daniele Agus

Alcune immagini sono prelevate da "CARLOFORTE, ISOLA DI SAN PIETRO" di Antonio Torchia

 

 

 

 

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