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Gente di caruggi -
Manuelìn
(Emanuele Leone)
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Uno si porta
u puverbiu appiccicato addosso per tutta la vita, anche
quando dovrebbe essere modificato.
Per Emanuele
Leone, essere chiamato
Manuelin andava bene quand’era
piccolo. Da grande, forse, si sarebbe dovuto chiamare
Manuelun.
Ma non gli suonava bene (proprio a lui musicista) e, per
tutti, è passato alla nostra piccola storia come
Manuelin.
E basta.
Impareggiabile suonatore di basso, conosceva bene la musica.
Per cui fu anche direttore della banda musicale cittadina, per
diversi anni (dal 1950 al 1984). Era dotato di un orecchio
musicale non comune. Ciò gli consentiva di accompagnare
esecuzioni strumentali e vocali, anche senza spartito.
Per essere
suonatore di provincia, Manuelin ebbe il privilegio di
accompagnare cantanti di calibro nazionale.
Quando a Carloforte
u Carlevò imperava, nel senso più popolare
della parola, Nilla Pizzi e Achille Togliani, Orietta Berti e
Claudio Villa facevano tremare le gallerie
d-u palassiu.
Gli applausi erano bombe atomiche con scoppi ripetuti di
bene – bravo (cadenzati a ritmo binario). Manuelin era lì,
sul palco, vicino al piano suonato da Angelo; e tutt’e due si
prendevano una buona fetta di quelle ovazioni.
Altri
consensi erano tributati a lui, e ai colleghi, nelle classiche
serate che si possono considerare le antenate delle più
moderne, oggi purtroppo in rotta di lento disarmo. I
componenti:
Angelo d-u Rinaldo, violino (a rovescio,
perché mancino; ma solo nei strumenti a corda);
Nicolo d-a
Pimpina, fisarmonica;
Gino Leone (l’orefice),
viola;
Carlo Baghino, mandolino;
Nini Biffa,
chitarra;
Limbo Conte (medico), violino;
Nini Leone,
cantante;
Aldo Luxoro,
buttafuori (teneva a bada l’uditorio per non infastidire la
musica e il canto). E si potevano ascoltare esecuzioni
brillanti e canzoni piacevoli. I destinatari delle serenate:
primo, le autorità costituite (il prete, il sindaco, il
maresciallo); poi le mogli e le fidanzate dei suonatori;
infine la ragazza di chi
u l’aiva
u coêu mautu oppure
u fova u crou.
Non c’era
occasione musicale in cui Manuelin non fosse presente col suo
immancabile basso. Occasioni civili e religiose. Anche in
queste il nostro bravo suonatore era componente integrante
dell’orchestra.
Soprattutto
nelle cerimonie nuziali, in cui il quartetto d’archi
comprendeva: Angelo all’organo, Miglietto (o Limbo) al
violino, Gino alla viola e Manuelin al basso.
E così per
diversi anni. Finché il tempo, demolitore inesorabile, ridusse
il numero di suonatori. Manuelin fu l’ultimo a venir meno. Non
per stanchezza, nonostante l’età, ma per un motivo tecnico.
Era il 15
novembre, Festa della Madonna dello Schiavo. Alle 11,30, messa
solenne con accompagnamento d’orchestra; Manuelin è in
cantoria, pronto a pizzicare le corde del basso col canto
iniziale. Come preme l’indice della mano destra sulla prima
battuta, il riccio (la parte alta) dello strumento, si
affloscia in avanti. Dall’interno della tastiera spezzata,
fuoriesce la farinella tipica del tarlo: l’insetto aveva
divorato quasi tutto lo strumento.
Non era il
modo più brillante per la fine di una carriera. Ma, forse, era
il luogo più adatto. Manuelin e il suo inseparabile strumento
furono contenti almeno di questo.
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