> Mi ricordo di ...
|
|
Gente di caruggi - Franzi
(Francesco Ageno)
|
|
Appoggia il puntatore del mouse sulla parola o frase in
dialetto per visualizzarne la traduzione in italiano
Nel
laboratorio di falegnameria si presenta un ragazzino.
Che
recita:
“Borba Franzi, u babbu dixe se ghe prestè u suraccu”.
Franzi solleva lo sguardo dal legno che sta piallando; sbircia
il ragazzino da sopra gli occhiali, e gli domanda:
- Bellu, chi u l’è to babbu?
- U l’è u
figgiu du...
- Ti ghe dì a
to babbu –
riprende Franzi –
che u suraccu au dagu sulu ai amixi.
Il piccolo
corre a riferire. Compare il papà esagitato e domanda:
- Allua, cumm’u
l’è u descursu?... Mi nu sun n’amigu?
- No. Ti t’è
in mezu amigu.
Così era
Franzi. Solo agli amici provati dava piena fiducia. L’aveva
appreso dal padre, Achille Ageno, grande marinaio, che aveva
iniziato a navigare a soli tredici anni; ma, soprattutto,
grande uomo, che si era accattivato la stima e l’amicizia di
gente che conta.
Giovanissimo, infatti, si trasferisce con la
famiglia in Liguria, a S. Terenzo (in quel di Lerici). Presto
fu uomo di fiducia sullo ‘Jela’, lussuoso yatch della casa
reale Savoia.
Nel 1920,
passa al servizio di Guglielmo Marconi, primo marinaio
sull’Elettra, la nave che fu culla della radio. Nel 1924, il
grande scienziato, in Inghilterra, trasmette un messaggio
dall’Elettra al sindaco di Sidney (Australia). Fu l’atto di
nascita della radio. Così Achille Ageno fu testimone oculare.
N giornale ligure ricorda il nostro marinaio: “Marconi si
affezionò molto ad Ageno e così tutta la famiglia, in
particolare i due figli, Denia e Giulio, ai quali il marinaio
carlofortino insegnò a nuotare e a pescare”.
Franzi,
dunque, vantava un bravo maestro di vita. Ma anche lui si
faceva ben volere per il sano umorismo e la simpatia. La
falegnameria di via S. Martino era la succursale
dell’Oratorio. Franzi diceva che l’attrazione per l’ambiente
religioso gli era rimasta da un racconto di S. Terenzo.
In questo
paese della riviera levantina, non resisteva alcun prete;
tutti scappavano disperati.
Una
sera, le campane suonano fuori orario. In breve la chiesa si
riempie di curiosi, soprattutto uomini. Sul presbiterio
compare un prete. Il quale, dopo due minuti di silenzio
generale, dice in dialetto:
“Mi sun u
vostru preve. Ve digu sulu ‘na cosa: se uài vegnì in gexa,
ben; se nu ghe vegnì, nu me ne freghe in belin!”.
E così
dicendo, posa sulla balaustra una pistola (giocattolo,
naturalmente).
L’argomentazione non era stata molto spirituale; ma fu
convincente per quegli uomini di S. Terenzo, che rientrano a
casa e minacciano moglie e figli:
“Vagni in gexa!... Guòi
de ti se nu ti vè a messa!...”
Nel
laboratorio di Franzi nascevano le famose maschere di
carnevale.
Grandi
cappocce satiriche, che erano assicurate sul collo dei
figuranti con una piccola catenella e lucchetto. La chiave la
custodiva Franzi. Dopo la sfilata,
i figuranti avevano ben diritto di liberarsi della pesante
maschera.
“Cummensè annò
in ta bûttega
– diceva Franzi –
vegnu subetu”. E intanto
se ne andava a ballare alla Mutua. Allegrone com’era, non
pensava minimamente al disagio degli amici che, sotto il
supplizio della maschera, restavano
ŝcui dau sûu.
Le necessità
della vita hanno spinto Franzi a navigare nell’oceano. Ma
ripeteva che, in quei mari, si sentiva come un pesce fuor
d’acqua (il colmo!). Gli mancavano gli amici e la falegnameria
da ripa du Bêu.
Appoggia il puntatore del mouse sulla parola o frase in
dialetto per visualizzarne la traduzione in italiano
|