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Gente di caruggi -
Fova Rustia
(Serafina Maurandi)
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La civiltà
dei consumi ha cambiato molti termini del vecchio vocabolario.
Così, la domestica si chiama collaboratrice familiare; il
netturbino è diventato operatore ecologico; perfino l’antico
sacrestano è sostituito dal collaboratore pastorale.
Serafina
Maurandi, oggi, sarebbe responsabile dell’accoglienza
liturgica, membro di diritto del consiglio pastorale
parrocchiale.
Che faceva?
La sediaia parrocchiale. Con solenne familiarità, custodiva e
distribuiva le sedie per le funzioni religiose. Nessuno,
tranne i parenti stretti, conosceva il suo vero nome. Per
tutti era semplicemente Fova rustia.
La sua
seconda casa era
a
stansia dê carreghe: un piccolo
vano, a pianterreno, della Casa del catechismo (attuale
ingresso-bar al salone dell’oratorio) in corso Repubblica,
oggi Tagliafico.
In
venticinque metri quadrati lei riusciva a stivare centinaia di
sedie a doppio fondo (quelle col sedile ribaltabile e
inginocchiatoio). Conosceva ogni sedia della parrocchia. Ma
c’erano quelle di proprietà privata. Pure di queste
Fova
rustia conosceva ogni relativa proprietaria, come un
pastore conosce le pecore e una massaia le galline.
Allora la
chiesa era completamente spoglia di banchi. Le donne che
desideravano inginocchiarsi e/o sedersi, dovevano premunirsi
di sedia. Almeno mezz’ora prima della funzione religiosa.
Fova rustia iniziava il suo andirivieni quotidiano:
portava in chiesa le sedie private, disponendole al posto
giusto della proprietaria giusta: come un minicomputer, aveva
memorizzato il punto esatto dove si inginocchiavano le
parrocchiane, una per una.
Le sedie le concedeva dietro un
modesto compenso, per il tempo della funzione. Ma, al termine,
la chiesa sembrava un campo di battaglia, con tutte le sedie
in disordine (ognuno che doveva uscire
arrunsova a carrega).
La povera Serafina se le
camallava tutte, riponendole
in
ta stansia, già in ordine per la funzione del giorno
seguente.
Soprattutto
questa operazione di ritorno le era di tanto fastidio (e aveva
ragione). Perciò mugugnava. In verità,
Fova rustia
mugugnava facilmente anche per meno. E alle persone morose nel
pagamento della quota periodica, dopo due o tre solleciti, non
concedeva la sedia: perché doveva dare soddisfazione al
parroco, di cui godeva fiducia.
E, quando
negava la sedia a qualche persona antipatica (sempre ci sono
state e sempre ci saranno, anche sotto il campanile), si
giustificava mormorando tra i pochi denti: “U parracu u nu
l’oêu!...”
Lei parlava
accavallando le parole, che tu capivi a riassunto, con molta
fantasia, e solo dopo un bel pò di allenamento all’ascolto
ravvicinato.
Chi portava
la sedia direttamente da casa, baipassava la fedelissima
guardiana. Ma poteva capitare di aver bisogno della sua
professionalità; allora, l’intervento era a rischio. Esempio:
- Serafin-a, a
me carrega a nu gh’è in gêxa.
- S’a nu gh’è,
ve rumpì u collu e ve l’annè a cercò.
Sì,
qualche volta poteva sembrare meno cortese.
Ma lo era solo con chi pretendeva un servizio cui non aveva
diritto.
E quando si ha a che fare con il pubblico, è facile perdere il
controllo; anche per chi sta seduto su una sedia, come
Fova rustia.
La quale si
è ritrovata con questo
puverbiu sulle spalle che, per
esattezza onomastica, non le apparteneva. Il suo soprannome
patronimico era
lagiàise caratteristico dei Maurandi e
dintorni.
Fova rustia era il nome d’arte del marito,
della gente Farris. Come mai
u puverbiu sia rimbalzato
dal marito alla moglie, non si sa. Forse per eccessiva
interpretazione del vecchio codice civile che recitava:
il
marito è capo della famiglia, la moglie ne assume il
cognome...? Chissà. Comunque sia, la nostra Serafina non è
nata
Fova rustia.
Però, siamo sinceri: è un nomignolo
che le calzava a pennello.
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