> Mi ricordo di ...
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Gente di caruggi -
Biringonni
(Francesco Leone)
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In gioventù doveva essere
stato un bel fusto, che ha fatto battere teneramente il cuore a molte ragazze.
Ma per fortuna di vivergli accanto toccò alla
Spaghetti; alias
Pinedda (Giuseppina)
Ventura. Parliamo di Checchino Leone, Cavaliere della
Repubblica, e gentile Signora.
Coppia
perfettamente assortita:
lui calmo ragionatore, medio
industriale, il classico distinto signore di mezza età; lei
dinamica più che a sufficienza, collaboratrice nelle attività
sociali all’ombra del campanile (presidente delle Dame).
Checchino e
Pinedda,
cu-à gua du masc-cettu, avevano messo su una
piccola tribù femminile di sette figlie. Il primo rampollo
della dinastia fu il nipote Giuseppe, nato da Giorgio Ferraro
e Anna (Leone). Fu un avvenimento storico, che riempì di
euforia la casata (soprattutto la nonna, per la scelta del
nome); la notizia fu riportata anche dalla stampa locale: nel
giornalino degli universitari,
Pin-pio-scelli -
apparve:
Annuntio vobis gaudium magnum: natus est heres
Biringonniae domus (Vi annuncio una grande gioia: è nato
l’erede di casa Biringonni).
Checchino
era titolare-comproprietario della prima centrale elettrica,
insieme col fratello Battista (noto Branca) e Angiulin Conte.
L’impresa elettrica privata ha reso un ottimo servizio alla
comunità: quando in Sardegna, la maggior parte dei comuni
andavano ancora a lume di candela, la nostra cittadina già
possedeva la corrente continua a 110 V, sufficiente ad
alimentare l’illuminazione nelle case e nelle strade (gli
elettrodomestici non erano ancora nati). Il motto
con
Biringonni, Conte e Branca la luce non manca, indica che
il servizio funzionava. Le rare volte che mancava la luce,
qualcuno imprecava (in modo affettuoso)
a borba du Branca,
che portava un pizzetto alla De Vecchi.
Il rumore
caratteristico dei motori non infastidiva le famiglie vicine
(e quelle lontane, nei giorni di calma estiva). Anzi, quando
furono soppressi con l’avvento dell’Ages e poi dell’Enel, non
si riusciva a dormire: mancava la ninna nanna del
tum-tum
d-a centròle.
Poiché aveva
la luce gratis, Checchino poteva permettersi il lusso della
radio. Ascoltava avidamente le notizie sull’andamento della
borsa e i bollettini ufficiali di guerra. Il giorno in cui Hitler venne a Roma, avvicinò l’orecchio all’altoparlante per
non perdere una sola parola del discorso del Führer, in
tedesco. E disse ai vicini:
Ste’n po’ sitti, che n’accapisciu
ninte.
Biringonni
era un cristiano praticante. Ogni sua giornata iniziava in
chiesa, assistito dall’amico inseparabile Galea.
Grande amico
di don Pagani, volle ricordare la sua figura dando il nome
all’ultima delle figliole, Gabriella.
Checchino
coltivava la musica: in gioventù era stato prima cornetta
della banda musicale cittadina.
Talvolta
poteva apparire scostante; ma aveva un atteggiamento paterno
verso gli utenti. Era sempre comprensivo, quando qualcuno
chiedeva una proroga nel pagamento della bolletta.
Per le
benemerenze nell’attività sociale, fu nominato Cavaliere della
Repubblica per meriti del lavoro. Nell’occasione, l’amico
parroco don Mario, gli fece gli auguri con un dono
personalizzato: un cavalluccio di legno. Biringonni sorrise. E
dimostrò di gradire il simpatico omaggio, come il titolo
stesso di cavaliere. Forse anche di più: perché era
espressione di affetto di un amico tanto stimato.
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