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Gente di caruggi -
Paulin (secrestan)
(Paolo Parodo)
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Durante i
lavori di restauro dell’organo a canne nell’oratorio della
Madonna dello Schiavo, all’interno dell’antina sinistra si è
trovato scritto a matita:
Parodo Paolo entrato sagrestano
il 20
febbraio 1909.
La scritta è
stata conservata accuratamente, con la speranza che anche i
posteri la rispettino. È tanto preziosa? Sì, perché è un
documento autentico di uno dei nostri personaggi.
U Paulin
rimase il sacrista per eccellenza di Carloforte. Ha esercitato
questa professione con cinque parroci. Quando arrivò don
Pagani, nel dicembre 1923, se non fu l’unico, fu uno dei
pochissimi che gli andarono incontro.
Proprio in quel periodo
a Paulin si presentò l’occasione di trasferirsi a Cagliari,
dove avrebbe trovato un lavoro che gli avrebbe permesso di
mantenere più decorosamente la famiglia (moglie e figli).
Egli
ne parlò col nuovo parroco, il quale gli disse, quasi
rassegnato: Se vuoi andare...
Paulin raccolse il dispiacere
nascosto in quelle parole; tornò a casa e disse alla moglie
A Cagiai nu g’anemu ciü: me dispioxe lasciò ‘st’omu da sulu.
Ogni commento è superfluo.
Da quel
giorno Paulin divenne sacrista per scelta, per vocazione
speciale. Ed ha espletato il suo ufficio con l’impegno
comunemente riconosciuto.
Egli non era
il super-chierichetto che si limitava ad accendere le candele
e preparare i paramenti. In chiesa non c’era lavoro in cui non
intervenisse la sua competenza. Oltre a preparare i vasi sacri
per le funzioni, attendeva alla pulizia degli ambienti; tirava
il mantice dell’organo; cantava nelle messe dei defunti (e
aveva anche una bella voce); guidava processioni e funerali.
Godeva di tutta la fiducia del parroco che gli concedeva di
fissare l’ordine delle masse e raccogliere le offerte.
Questa mole
di lavoro, Paulin riusciva a svolgerla con il massimo ordine.
E quando sopraggiungevano le feste (Natale, Quarantore,
Settimana Santa, S. Pietro, Madonna dello Schiavo), quante
volte il bravo
secrestan saltava i pasti e rincasava,
la sera, a notte inoltrata. Se avesse potuto celebrare la
messa e confessare, sarebbe stato il più bravo viceparroco.
Aveva
il massimo rispetto nel trattare coi sacerdoti giovani; ma al
tempo stesso, massima confidenza, come fossero fratelli. Un
esempio: al rientro dalle vacanze estive, don Mario, giovane
viceparroco, cominciò ad attirare i ragazzi in chiesa attorno
all’harmonium: insegnava qualche canto nuovo per la messa dei
fanciulli.
Ma, si sa, i ragazzi sono irrequieti, un pò per il
caldo che ancora si fa sentire, un pò per il famoso argento
vivo. Paulin, che lavorava in sacrestia col sigaro (spento) in
bocca, si affacciò in coro dicendo:
O don Mario, lascia perde: nu ti u vedi che ghe cresce... i cadìn!
Quando,
ormai avanti con gli anni, fu colpito da ictus cerebrale,
Paulin soffriva per il male; ma il suo maggior dispiacere era
di non poter più offrire la sua collaborazione al servizio
liturgico.
Se in
paradiso c’è un organo a canne, all’interno dell’antina
sinistra ci deve essere scritto a matita: Parodo Paolo entrato
sagrestano il 18-09-1961.
Sì, Paulin
continua a fare il sacrista anche in paradiso.
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