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Gente di caruggi - Andrixìn
(Andrea Ferraro)
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Adesso,
prima di uscire di casa al mattino, guardiamo le previsioni
del tempo alla tivù. Per metterci in viaggio in macchina, o
anche semplicemente per andare
in t’a vigna a dar da
mangiare ai gatti, abbiamo bisogno di sapere se il satellite
proietta nubi di perturbazione sull’Italia; o, almeno, se in
direzione dell’isola penda la
stissa di pioggia.
Cinquant’anni fa, il servizio meteo informazioni elaborate da
Epson computer non esisteva. Ma anche se ci fosse stato,
Andrixìn non lo avrebbe seguito.
Che
splendesse il sole o piovesse a dirotto, a lui non importava.
Niente e nessuno avrebbe potuto impedirgli il suo impegno
quotidiano: alle 17:45 trovarsi all’arrivo del “Gallura” per
ritirare il pacco de
l’Unità.
Andrea
Ferraro era l’immagine vivente del comunista perfetto. Si
sarebbe detto che avesse succhiato i principi del
marxismo-leninismo col latte materno. Ma, molto probabilmente,
non aveva mai sfogliato nessun volume dell’enciclopedia del
Marxismo delle Botteghe Oscure.
Eppure il suo attaccamento al
partito di Palmiro Togliatti era una fede. Che manifestava con
fierezza, senza rispetto umano. E dava la sua collaborazione
per diffondere le idee pubblicate sul giornale.
L’impegno di Andrixìn non si limitava a prelevare il pacco de
l’Unità dal vaporetto; ma distribuiva anche il giornale
ai lettori, recapitandolo a domicilio.
Il
nostro piccolo marxista aveva pure una passione nascosta, non
più di tanto: amava l’opera e l’operetta. Soprattutto
quest’ultima.
Nei
tempi andati Carloforte ospitava compagnie di operette più che
nei tempi odierni. Ciò spiega perché questo genere artistico
sia molto
conosciuto dalla generazione precedente (per
intenderci, da coloro che hanno superato gli anni... anta). Andrixìn non se ne perdeva una. E ricorreva anche a qualche
innocente stratagemma, pur di soddisfare il suo amore per
l’arte.
Un
giorno si presenta al suo datore di lavoro,
Ranghinellu,
titolare della fabbrica di
ciappellette, e gli domanda
un anticipo sulla paga settimanale. Motivo della richiesta:
un’improvvisa emergenza familiare.
Ranghinellu acconsente di buon grado. Ma il pomeriggio
seguente, al teatro Cavallera, vede Andrixìn che si gode lo
spettacolo. Capisce e sorride: la passione per la musica
valeva ben una piccola bugia.
Dopo la
consegna della stampa, Andrixìn si dedicava all’assistenza
sociale: seguiva pratiche di pensionamento, soprattutto per
marittimi. Un giorno si presentò in ufficio, presso il
Cavallera, anche
Bagasciu. Uscendo, l’aspirante
pensionato mostrò la domanda compilata da Andrixìn ad un
amico.
Costui riscontrò che vi erano alcuni errori di
ortografia. Bagasciu, deciso a far vendetta
dell’oltraggio alla sua reputazione, si armò di una pistola
scacciacani e aggredì il consulente sindacale:
-
O Andrixìn, ti mè piggiau duemia franchi pé ‘na lettia pin-a de pastissi! Mi t’ammassu!
E sparò.
Andrixìn
cadde a terra. Bascasciu si rifugiò in casa e ordinò alla
moglie:
- Tugnetta, se me sercan, nu ghe sun.
Poco
dopo bussarono alla porta:
-
O Petrìn!
-
U nu ghé. Ma perché au serché?
-
Perché u l’ha fettu ‘nspaximò u Andrixìn. G’an dettu fin-a ‘n gottu d’egua.
Bagasciu
comparve, un pò risollevato:
-
U l’è vivu? Menu mole!
Evidentemente nessuno dei due aveva coraggio da vendere. Ma
Andrixìn aveva rischiato di essere un martire del
proletariato.
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