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Gente di caruggi  -  Rigoletto

(Francesco Leone)

 

 

 

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Quello di Verdi è passato alla storia come il menestrello di corte, nell’opera omonima. Questo nostrano rimane nella storia spicciola di Carloforte altrettanto noto a tutti con un pizzico di buon umore.

 

Franchin (Francesco) Leone fu Rigoletto dalla prima volta che cantò pezzi del personaggio Verdiano. In giovanissima età, un banale incidente gli causò la gamba rigida: un calcio al ginocchio da parte di un compagno di giochi. Allora non si andava subito al pronto soccorso. La mamma lo curava con qualche cataprôximu de sûmensa de lin. Inutilmente. La gamba restò rigida per tutto il resto della vita.

Ma questo non gli impedì di svolgere l’attività di imbianchino-decoratore; e, soprattutto, di essere buon compagnone di allegre brigate; dove, solitamente, si mangia e si beve senza limiti di velocità.

 

Rigoletto, nonostante la gamba redena, arrivava sempre in tempo per mangiare. E il diabete? Lo soffocava a colpi di grancassa; infatti suonava questo strumento nella banda cittadina e nell’orchestra, masticando sempre qualcosa di dolce.

 

Quando c’è musica dal vivo, suonata da un complesso o da una banda, si fa subito intorno un nugolo di bambini, pubblico che non manca mai (il suono deve funzionare da calamita nella testa dei piccoli). Solo che la loro presenza, spesso, finisce per infastidire il suonatore della grancassa, perché si agitano in continuazione (a scapito della buona esecuzione musicale).

Rigoletto, però, nascondeva un’arma segreta con cui liberarsi del fastidio infantile, aveva sempre in canna qualche peto al silenziatore. E lo mollava, quasi radiocomandato, al momento opportuno. L’odore di cavolo al Vueffe (medicina pestilenziale) faceva allargare i bambini a raggiera.

 

Quel pomeriggio, si facevano le prove di un’operetta, prossima da mandare in scena. Qualche collega dell’orchestra (Angelo) offrì a Rigoletto una caramella lassativa. Così raddolcito, il batterista suonò con evidente entusiasmo. E, al solito accerchiamento dei bambini, pensò di allontanarli col sistema collaudato dell’effluvio silurante. Rigoletto fece leva con la gamba per il lancio, ma rimase come folgorato: stavolta non era semplicemente aria...! E scappò a cambiarsi le braghe, mentre i colleghi ridevano a dismisura.

 

Franchin era de lung’a mesu, cumm’au pursemmu, specialmente dove c’era da rie (e da mangiò). In occasione di una gita a Calasetta, don Mario e i giovani dell’Azione Cattolica, noleggiarono il “Centoscudi”. Rigoletto rimase a terra (chissà per quale motivo...). All’arrivo dall’altra sponda, trovarono Rigoletto già là, pronto a ricevere la cima per favorire l’attracco della barca. E tu come sei venuto? – gli chiese don Mario. Le vie del Signore sono infinite – rispose Rigoletto soddisfatto.

Ma non fu altrettanto soddisfatto al momento di riprendere il “Capo Sandalo” per il ritorno; anzi, era insolitamente di cattivo umore. Gli amici, preoccupati, gli domandarono il perché. Rispose: Propriu mi g’aiva da ‘ncucciò!... Ho ‘na fame!

  -  Ma perché?... Cusse t’è ‘ntrevegnûu?...

  -  Sun annetu a piccò ‘n te ‘na cà ch’ean in lûttu... M’han dêtu brodu de gallin-a!...

(Spiegazione: i giovani carlofortini erano stati ospitati nelle singole famiglie. Rigoletto era capitato in una casa decisamente non rispondente alle sue aspettative gastronomiche)

 

Rigoletto di qua, Rigoletto di là, era naturale che u puverbiu si estendesse anche ai familiari. La figliola è Rosalba; ma, per chi conosceva bene il padre era Gilda. Lei, da piccola, soffriva (è naturale, a quell’età); oggi, ne è quasi orgogliosa; a chi le domanda: de chi t’è figgia?, risponde semplicemente: Sun a figgia d-u Rigoletto. Più Gilda di così!

 

Franchin mancò la notte di Capodanno. Ancora oggi, in famiglia, consumando il tradizionale cenone di fine anno, c’è un posto vuoto, dove si servono cibi e bevande come a tutti i presenti: è il posto di papà Rigoletto. Che non può mancare. Come suo solito.

 

 

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Testi estratti da "GENTE DI CARRUGGI" e da "GENTE DI CARUGGI 2" entrambi di Daniele Agus

Alcune immagini sono prelevate da "CARLOFORTE, ISOLA DI SAN PIETRO" di Antonio Torchia

 

 

 

 

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