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Il Paesaggio
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Una storia
popolare narra che Dio, alla fine della creazione, si sia
trovato tra le mani un sasso e non sapendo che farne l’abbia
lanciato in mezzo al mare... aveva creato un’isola
meravigliosa dove a cale dorate e silenziose si alternano
falesie scoscese e dove il salso del mare è un ibrido con i
freschi profumi della macchia mediterranea.
La
formazione dell’isola di San Pietro risale
alla fine dell’era Terziaria
quando le condizioni geodinamiche e tettoniche interessarono
le coste occidentali della Sardegna, determinando una diffusa
attività vulcanica la cui massima diffusione avvenne tra i 32
e 13 milioni di anni fa; le
sue rocce, infatti, sono di natura
eruttiva: trachiti,
lipariti,
commenditi (zona
Commende, Bricco di Ravenna, Becco).
I centri di emissione
di queste manifestazioni vulcaniche erano dislocati nella
parte occidentale ed erano costituiti da
lave acide, che hanno la caratteristica di
raffreddarsi e solidificarsi subito
dopo la loro fuoriuscita, senza avere il tempo né
di depositarsi completamente, né di uniformarsi al terreno
preesistente. Si spiega così il paesaggio interno dell'isola,
costituito da numerose colline (bricchi),
aspre e irregolari nella forma, ma poco elevate, alternate a
tante piccole valli (canò),
spesso impenetrabili per la folta vegetazione a macchia
mediterranea.
I numerosi
isolotti
(Isola Piana, Ratti, Corno, Geniò, Spine) stanno ad indicare
che l’isola dovette avere un’estensione maggiore e che
nell’era Quaternaria (600.000 anni fa) fu modellata
nell’attuale stato, acquistando la sua definitiva insularità.
La costa
alta e rocciosa nella parte nord-occidentale dominata da
maestose falesie
degrada nella parte orientale dove diventa bassa, sabbiosa e
quasi lineare.
Man mano
che si va verso l’interno prendono quota, soprattutto nella
parte centro-settentrionale, i
Bricchi: Guardia dei
Mori (211 m), Tortoriso (208 m), Ravenna (192 m), Nassetta
(190 m), Guardia (186 m), La Montagna (178 m), Patella (176
m), Capo Rosso (172 m), Bocchette (171 m), Borrona (165 m),
mentre nella parte centro-meridionale si trovano le
zone
pianeggianti dove ha un certo sviluppo l’agricoltura.
La limitata
superficie dell’isola e la natura del rilievo non hanno
permesso il formarsi di corsi d’acqua ma piuttosto di
torrentelli che
scendono dai rilievi movimentandone le coste (Geniò, Gabbie,
Pitticcheddu, Bacciu).
Le coste
dell’isola sono per lo più rocciose soprattutto nella parte
settentrionale e in quella sud-occidentale, ambedue delimitate
da di irte falesie sulle quali l’azione erosiva e demolitrice
del mare ha creato insenature, rientranze, grotte, piccole
isole di erosione che rendono il profilo costiero suggestivo e
vario, interessante soprattutto per chi lo vede dal mare. Ed è
appunto questo il luogo più adatto per conoscere ed
apprezzare
le bellezze e gli angoli più nascosti di questa splendida
isola.
Partendo
dal porto verso nord, oltrepassato il tratto lineare del
Canalfondo e di Taccarossa, caratterizzato dalla
verde macchia che avvolge le numerose case dislocate su quel
versante, si giunge
alla
Punta o Punta Nord (sede di
stabilimenti in parte ancora attivi per la pesca del tonno)
attraverso il piccolo canale che separa l’isola grande
dall’Isola Piana, sede di un villaggio turistico
residenziale ricavato dalla ristrutturazione dell’ottocentesco
stabilimento della tonnara appartenuto ai Marchesi di
Villamarina.
Sempre in
prossimità della punta sono interessanti alcune formazioni
geologiche, che appaiono in forma concava rotondeggiante,
denominate Globoidi: formazioni legate ai fenomeni di
eruzione lavica secondaria e all'azione erosiva di natura
chimica.
Navigando
verso ovest lungo la costa settentrionale, si osserva la
rientranza abbastanza profonda del canale di Cala Lunga,
una minuscola rias che interrompe l’irto e inaccessibile
tratto di costa a falesia. Subito dopo è possibile ammirare la
spettacolare bellezza delle Tacche Bianche, tre grossi
prismi rocciosi di materiale tufaceo che emergono come per
incanto dalla massa rosata della falesia, scenario per secoli
dell’affascinate e cruento rito della mattanza.
La costa
sempre irta e selvaggia prosegue verso occidente offrendo la
sorpresa di piccole ma suggestive grotte di erosione come
quella del Sole, delle
Oche (la più grande
dell’isola), di Stea, la spettacolare
piscina
naturale di Nasca immersa in un insolito paesaggio lunare
e la sinuosa rientranza di Cala Vinagra con il
solitario, bianco isolotto che ne protegge l’entrata a nord.
Qui alcuni vecchi edifici, in parte ristrutturati, ricordano
la presenza di un’antica tonnara.
Poi la
costa volge verso occidente con la spettacolare bianca falesia
della Borrona, quindi
Cala Fico e la sua grotta
caratterizzata dall’apertura a bifora e dalla trasparenza del
mare che offre alla vista i più profondi anfratti del fondale.
In questa zona vi è la
struttura operativa della LIPU, una
stazione scientifica per lo studio e la salvaguardia del falco
della Regina, che lungo questo tratto di costa vive per più di
quattro mesi all’anno per nidificare.
Il
promontorio di Capo Sandalo offre uno spettacolo unico
in ogni momento: è meraviglioso nella quiete, grandioso nella
burrasca. Sulla sommità maestoso e solitario l’edificio del
faro, costruito nel 1864, punto di riferimento, compagno di
viaggio per tutti i naviganti che hanno attraversato negli
anni il Mediterraneo sud-occidentale.
(Fari del Sulcis,
per gentile concessione della Marina Militare Italiana e del
Ministero della Difesa).
L’ampio Golfo del Becco
, con le sue pareti rosate al tramonto, è
stato teatro del lavoro faticoso dell’uomo che ha scavato
nelle miniere dette di Capo Rosso, a monte dell’alta
falesia, la preziosa ocra il cui prodotto venne messo in
commercio con il nome di “terre di Siena di Sardegna”.
Oggi a
ricordo di questa fatica rimangono gli edifici del villaggio
minerario e alla base della falesia il piccolo molo, ormai
quasi completamente distrutto dall’azione del mare, dove i
battelli da carico, opera dei maestri d’ascia locali,
prelevavano il prezioso carico per portarlo al riparo nel
porto di Carloforte.
La costa
prosegue, ed ecco l’ampia insenatura della
Caletta
dalla cui spiaggia si può ammirare un tramonto straordinario,
la lenta scomparsa del sole che si immerge come una palla di
fuoco sulla linea del lontano orizzonte.
Nel tratto
sud-occidentale, alto e selvaggio, ecco Punta Mingosa
alla cui base l’incessante azione del mare ha creato una
straordinaria e curiosa vasca circolare, chiamata nel dialetto
Tröggiu, che si può raggiungere scendendo un ripido
sentiero, ma la fatica è premiata da un bagno indimenticabile.
Si giunge quindi nell’ampio Golfo della Mezzaluna, così
detto per la sua forma semicircolare.
Nel tratto più
meridionale della falesia, alta circa quaranta metri, si
trovano delle stupende grotte le cui aperture verticali si
affacciano nel verde smeraldino del mare, conosciute anche
come Grotte del Bue Marino, dal nome di quella località
dell’isola.
È questo un
luogo dove sino agli anni precedenti il secondo conflitto
mondiale vivevano le foche monache. Questi mammiferi schivi e
solitari sono ormai scomparsi dalle nostre coste troppo
frequentate dall’uomo a causa delle molteplici attività come
la pesca, il turismo balneare e nautico. Sulla punta che
delimita un’ampia insenatura, il roccioso anfiteatro di
Punta Grossa è uno degli ambienti più frequentati dagli
amanti del mare; la presenza della piscina naturale della Conca,
nome peraltro coniato in tempi recenti, fa da richiamo a
quanti vogliono fare un bagno in uno dei luoghi più suggestivi
dell’isola.
Siamo ormai
nella parte meridionale dell’isola, la costa si abbassa e si
cominciano ad intravedere alcuni lembi sabbiosi prima di
incontrare un altro stupendo tratto costiero, quello della Punta delle Colonne
con i suoi faraglioni, due prismi di
roccia vulcanica forgiati dal mare. Secondo diverse leggende
locali, sarebbero le sagome di due marinai pietrificati per
punizione divina, dopo aver commesso chissà quale misfatto o,
al contrario, due mostri lasciati da San Pietro a protezione
dell'isola.
Recentemente sono stati dichiarati Monumento Regionale
Protetto. Testimonianze del passato ci ricordano che una delle
colonne era sede di un grosso nido di rapaci, come narra il
naturalista Francesco Cetti nella sua
Storia naturale della
Sardegna.
Oltre le
colonne ecco di seguito due delle spiagge più belle e
frequentate: la Bobba
e Guidi, apprezzate per la
trasparenza delle limpide acque e del candido arenile di
sabbia sottilissima. Oltrepassata Punta Nera si
costeggia il tratto orientale della costa, basse e
pianeggiante, dove biancheggiano le spiagge di Punta Nera, di
Girin e del Giunco prima di entrare, doppiando
la diga sud, nell’ampio porto di Carloforte.
Fari del Sulcis (per gentile concessione della Marina Militare Italiana e del Ministero della Difesa)
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