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> Personaggi illustri della storia tabarchina
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Mamma Mahon
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“A
scuola mi hanno insegnato che la fortuna è una dea cieca o
bendata
che ha la facoltà di dare il bene o il male. A Mahòn
invece
ho scoperto che la Fortuna è una donna dagli occhi
buonissimi
che parlano prima della bocca.”
Così il
comandante del cacciatorpediniere
Mitragliere,
Giuseppe Marini, scrisse di lei al suo ritorno in Italia, al termine di
una prigionia di 16 mesi consumata sull’isola di Minorca
subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale.
Era uno delle
migliaia di marinai italiani a bordo dell’incrociatore
Attilio
Regolo, dei cacciatorpedinieri
Carabiniere,
Fuciliere,
Mitragliere,
Vivaldi
e
Da Noli
(finiti poi tragicamente),
e delle
torpediniere
Pegaso
e
Impetuoso
(autoaffondatesi nella baia di Pollenza per non consegnarsi
agli Spagnoli) testimoni delle crudeltà belliche ma anche di
gesti umanitari talmente elevati da passare alla storia.
Le navi, su ordine dell'ammiraglio
Oliva,
rimasero sul luogo dell'affondamento della corazzata
Roma,
fino a che ebbero ultimato la ricerca dei naufraghi,
salvandone circa 560, alcuni dei quali gravemente ustionati.
Non sapendo in che porto amico poggiare, nella notte si
risolsero a dirigere, dalle acque della Maddalena, verso il porto neutrale di
Mahòn in Spagna, dove giunsero alle ore 8 del
mattino seguente (10 settembre 1943), dopo una
drammatica navigazione, incalzati da una squadriglia di caccia
inglesi (che comunque non li attaccò).
La
situazione degli equipaggi era disperata: secondo le
convenzioni internazionali, dopo 24 ore le navi dovevano
riprendere il mare oppure gli equipaggi dovevano
consegnarsi
alle autorità militari spagnole. Il caos politico che seguì
l’8 settembre e la mancanza di ordini dal nuovo governo
italiano lasciarono sconcertati i comandanti delle navi
Marini (Mitragliere),
Notarbartolo di Sciara (Regolo),
Scroffa (Fuciliere)
e Bongioanni (Carabiniere), che
cercarono di prendere tempo prima di una decisione finale.
Optarono per
la richiesta di rifornimenti, mirata all'immediata
ripartenza; richiesta non ottemperata dalle
autorità spagnole che, alla scadenza delle 24 ore, portò
all'automatico internamento, accolto con amarezza dai
comandanti italiani che "si sottomisero" alla decisione senza
peraltro accettarla.
Il
comportamento degli Spagnoli sollevò un contenzioso tra Spagna
e Italia durato fino al gennaio 1945, risoltosi con un
lodo arbitrale che
consentì alle navi italiane di lasciare il porto di
Mahòn e ritornare a Taranto.
Gli equipaggi delle 4 navi non furono sbarcati (nonostante una
richiesta in tal senso da parte dell'ammiraglio
Garcia di Palma di
Maiorca) per una questione logistica: l'isola non era
attrezzata per ospitare 1.800 marinai.
I
circa 500 naufraghi non feriti della
Roma
furono alloggiati per lungo tempo nei capannoni della base
navale di Mahón in
condizioni miserevoli; erano seminudi e vennero rivestiti con
divise spagnole soltanto dopo forti insistenze del comandante
Marini.
In qualità di internati ricevettero
comunque – dopo un certo periodo – la loro paga versata dagli
spagnoli (scontandola dal debito di guerra accumulato con
l'Italia per gli aiuti durante la guerra civile 1936-39).
È a questo
punto che intervenne Fortuna Novella.
Carlofortina,
discendente dalla famiglia di armatori di una flottiglia di
coralline dell’isola di San Pietro, dopo aver sposato un ricco
commerciante spagnolo si era stabilita a
Porto Mahon, dove
viveva in una grande casa presso il mare e dove era rimasta
anche dopo la morte del consorte Antonio Riudavetz,
sopravvenuta qualche anno prima.
Giunta a conoscenza,
dopo qualche giorno, della
grave situazione in cui si trovavano gli equipaggi delle navi,
la signora italiana si mobilitò. Da quel momento
“Villa
Fortuna” diventò la casa dei marinai italiani bisognosi di
cure, asilo, assistenza o conforto materno, e restò tale fino
al 15 gennaio 1945 quando finalmente le navi,
finita la
guerra, poterono rientrare nei porti italiani.
Il
mito di
Mamma Mahon, come verrà ricordata dai reduci, riecheggiò negli
ambienti militari e nel 1950 la Marina Italiana onorò i caduti
sepolti nel cimitero di Minorca, dove le tombe dei marinai,
curate e custodite dalla signora Fortuna, vennero sostituite
da un monumento marmoreo. Nel 1952, dopo ripetuti inviti,
finalmente la mamma dei marinai d’Italia, com’era ormai
conosciuta, giunse a Roma, dove ricevette onori e
riconoscimenti che culminarono con l’udienza privata
concessale dal papa Pio XII.
Dopo esser ritornata per un
lungo
periodo di vacanza a Carloforte, fu richiamata a Roma, il 30
luglio 1953, per ricevere dal presidente della Repubblica
Luigi Einaudi la
Stella della solidarietà italiana.
Ritornata a Minorca, nel 1979 cesserà di vivere, immersa nella
quiete di quella casa che era stata teatro del suo nobile
gesto d’amore e di solidarietà.
Testi e ritratto estratti da
"CARLOFORTE e l'isola di San Pietro" di Luigi Pellerano
Un
particolare ringraziamento al Sig.
Erberto Accinni
(figlio di Federico, imbarcato sull'incrociatore
Attilio Regolo) che, portandomi a conoscenza di nuovi
particolari, mi ha permesso di integrare e correggere
da inesattezze la pagina in esame. |
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