> La Storia
> I bombardamenti a Carloforte nella II° Guerra Mondiale
|
|
I bombardamenti a Carloforte nella
II° Guerra Mondiale
(parte III°) -
(di Lino Borghero)
|
|
Con molti
rischi, ma con la speranza di pescare qualcosa o raccogliere
ricci e patelle, si andava spesso al mare tra gli scogli di
Calafico e di Capo Sandalo ai piedi del faro, o, per una
stradina stretta e ripida, alle scogliere del Becco. Ricordo
l’impressione provata un giorno vedendo incastrata tra i
faraglioni del Becco l’ala argentea spezzata di un grosso
aereo, con ben visibili i fasci stilizzati: i resti di una
tragedia consumata lontano e che il maestrale aveva portato
sino a noi.
Il 13
maggio 1943, nelle prime ore del pomeriggio, sentimmo dalle
Tanche un rumore cupo di esplosioni che si protrasse per oltre
mezz’ora. Pensammo ad un combattimento navale lontano. Era
invece il bombardamento di Cagliari effettuato da oltre
quattrocento aerei che determinava la devastazione della
città. Mio padre, che dirigeva una tipografia, era rientrato a
Cagliari. Quel giorno, a differenza delle occasioni
precedenti, le sirene avevano dato l’allarme
tempestivamente e
quasi tutti riuscirono a raggiungere i rifugi. La mattina
successiva, mia madre, che rientrava dal paese in campagna,
salendo lentamente sulla Rippa del Sardo, si sentì chiamare
per nome: era mio padre scampato ala bombardamento.
Mentre si
avvicinava l’estate gli aerei americani volavano ormai
incontrastati quasi ogni giorno. Spettatori impotenti,
osservavamo ciò che capitava. In genere erano i
P-38 con la
caratteristica doppia fusoliera che facevano da protagonisti.
Ricordo una mattina con cielo sereno senza nuvole, il mare
calmo come un lago: la costa di fronte sembrava più vicina.
Due P-38, quasi fosse un gioco, arrivavano sul paese a bassa
quota, puntavano dritti sul mare verso la costa sarda quasi
sfiorando la superficie e sganciavano le loro bombe contro la
centrale elettrica di Santa Caterina, che si stagliava con la
sua sagoma regolare sull’istmo di Sant’Antioco. Dopo ogni
esplosione, che sollevava nubi d’acqua e di fango, l’edificio
riappariva quasi beffardo, integro. Gli aerei americani
sparavano su tutti in mare, anche sulle piccole barche dei
pescatori.
Una
mattina un piccolo piroscafo ormeggiato al porto venne
attaccato ripetutamente con lancio di piccole bombe a bassa
quota, ma non fu colpito. Gli attacchi più frequenti venivano
compiuti sulle barche intente alla pesca nella parte
occidentale dell’isola di San Pietro, al largo della Mezzaluna, di Capo
Rosso, di Calafico.
Dopo la
ritirata dalla Tunisia si temeva uno sbarco degli
anglo-americani in Sardegna. Il 10 luglio giunse la notizia
che lo sbarco era avvenuto in Sicilia. Il 25 luglio la radio
comunicò la notizia dell’arresto di Mussolini e la
caduta del
fascismo.
Il paese fece festa. La guerra però continuava. Il 7 settembre
1943, alla vigilia dell’armistizio che già doveva essere a
conoscenza dei comandi, gli aerei americani mitragliarono il
rimorchiatore Salvatore. Morì il giovane Natale Parodo,
ultimo
dei caduti carlofortini nella fase della guerra combattuta
contro gli anglo-americani.
Dopo l’8
settembre rientrammo tutti in paese dalle campagne. Altri
giovani di Carloforte trovarono la morte in
circostanze
drammatiche. Un giorno si diffuse la notizia, bisbigliata al
bar di Gigin Cipollina, dove la sera ci si radunava ad
ascoltare le notizie della guerra ormai lontana o ad assistere
a qualche partita di biliardo, che una grossa mina era stata
portata dal mare alla deriva ed era incastrata tra gli scogli
del canale di Calalunga, sul lato destro guardando il mare;
infatti dalla Punta, molte volte, si assisteva
alla posa di
mine non lontano dalla costa da parte di imbarcazioni
italiane.
Forse si trattava di una di queste o forse di
qualche ordigno venuto da lontano. Alcuni giovani decisero di
tentare il recupero dell’esplosivo: andarono in quattro. Pochi
altri sapevano di questo rischioso progetto, ma quando la
mattina si udì in paese un boato cupo e violento vedemmo
immediatamente precipitarsi per strada i familiari dei
giovani, che avevano intuito la tragedia. Dei quattro si
salvarono solo due fratelli che avevano assistito dall’alto
del costone alle incaute operazioni dei compagni.
I resti
delle due vittime (uno era un pescatore, l’altro un meccanico
molto conosciuto) vennero portati la sera in paese.
|
|