> La Storia
> L'incursione tunisina e gli anni della schiavitù
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Brevi cenni storici sugli avvenimenti dal 1798 al 1803
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La
disavventura dei carolini iniziò la notte tra il
2 e il 3
settembre 1798, quando una flottiglia barbaresca composta da
cinque orche tunisine, uno sciabecco, due barconi, una polacca
e una galeotta, al comando del Rais Mohamed Rumeli, sbarcò sul
litorale dell’isola di San Pietro in
prossimità della spiaggia di Punta Nera. I
pirati,
superata la Torre San Vittorio, baluardo preposto alla difesa
dell’abitato, attaccarono di sorpresa il Forte Carlo Emanuele.
Quasi tutti i soldati furono uccisi, tra i pochi scampati il
comandante Raimondo De Candia.
Agli
abitanti, sorpresi nel sonno, furono impedite dai pirati (tra
le cui fila era presente un corsaro di origine di Tabarca)
tutte le vie di fuga, sia in direzione del mare che verso
l’interno. Priva di qualsiasi difesa, la cittadina fu
sottoposta a saccheggio e violenza senza riguardo per l’età e
tanto meno per la condizione sociale.
Anche gli
Agenti Consolari di Ragusa, di Spagna, di Olanda e di
Danimarca, di Svezia, residenti a Carloforte, furono fatti
prigionieri con le loro famiglie, tranne il Console inglese
che ebbe salva la vita assieme ai quei fortunati che si erano
rifugiati nella sua dimora. L’Inghilterra era una potenza
troppo grande da sfidare.
Il
Console francese Luigi Rombi, già portato sulle navi
barbaresche, liberato poi assieme alla sua famiglia e posto su
una piccola imbarcazione , a poche miglia dalla costa,
riuscì a fatica a guadagnare la riva.
La
notizia del saccheggio giunse a Cagliari la mattina del giorno
4. Un carolino scampato, fuggito a Portoscuso, informò le
autorità dell’accaduto, ma sfortunatamente non vi erano nel
porto di Cagliari navi se non la fregata
"La Badine". Al Console
francese, convocato al Palazzo Regio, venne chiesto l’aiuto in
base agli accordi di pace e alleanza firmati tra le repubblica
Francese e la Casa Sabauda.
Il
forte
vento di levante ritardò la partenza della Badine dalle 10 del
mattino fino alle 18 della sera. La sera del giorno 5
settembre giunse a Cagliari un espresso da Portoscuso; i
pirati si erano messi alla vela alle tre dopo mezzanotte del
giorno prima e la Badine era giunta troppo tardi, alle sette
della mattina, senza riuscire ad intercettare la flotta
tunisina.
Per
evitare un eventuale secondo attacco furono inviati a
Carloforte trenta cannonieri con munizioni ed artiglieria ed
il cav. Vittorio Porcile comandante della mezza galera Santa
Barbara. Il Duca di San Pietro, Don Alberto, donò 2000 scudi
per soccorrere i circa mille superstiti la cui triste
situazione prevedeva la mancanza di medicine (la farmacia era
stata saccheggiata come le case) e l’assenza sia del
medico
che dello speziale (erano stati fatti schiavi). Alla disgrazia
dell’incursione va aggiunta quella di un’epidemia di vaiolo
diffusasi a Carloforte fin dagli inizi del 1798; per evitare
il contagio le autorità furono costrette a creare un cordone
sanitario tra Sant’Antioco, Calasetta, Portoscuso, Palmas e i
litorali adiacenti.
Sul
numero dei prigionieri fatti schiavi le versioni sono
controverse e i numeri discordanti;
una voce fra le più
attendibili indica un
totale di 950 persone, tra le quali 702 tra donne e bambini
quasi tutti in tenera età e affetti da vaiolo.
A seguito
della disastrosa invasione e passato il momento di scoramento,
iniziò, da parte delle autorità di Cagliari, del Clero, del
Consiglio Comunitativo di Carloforte, una gara in
sede
politica e diplomatica per tentare la liberazione degli
sventurati carolini.
Le
richieste del Bey Hamûda non si fecero attendere; alla fine di
Settembre inviava al Vicerè, attraverso alcuni Consoli
residenti a Tunisi, un progetto di riscatto: la cifra
indicata, 300 zecchini veneti per ogni schiavo, sembrò
esorbitante e comunque impossibile per le casse regie.
Fu
inviato allora a Tunisi il Conte Giovanni Porcile che,
attraverso la sua arte diplomatica, il suo prestigio personale
e la conoscenza diretta del Bey, riuscì ad ottenere un
progetto di riscatto decisamente migliore rispetto al primo.
Ma anche questa volta le scarse risorse finanziarie, la
difficile situazione politica che attraversava il Regno Sardo
(occupato dalle truppe francesi di Napoleone), la morte
improvvisa del Conte Porcile, avvenuta a Tunisi, impedirono di
portare in porto le trattative del riscatto.
Il Bey
nel frattempo cominciava a dare segni di impazienza: alcuni
schiavi furono venduti ad Algeri, altri sarebbero stati
venduti ad Algeri, altri sarebbero stati venduti a gruppi
separati se non si fosse giunti a una transazione
soddisfacente. Si ricorse alla mediazione della Russia ma,
trascorsi ormai quasi cinque anni dall’incursione sull’isola
di San Pietro, nulla di positivo si profilava all’orizzonte
sino all’intervento politico del Console francese a Tunisi Jacques Devoize e all’intervento finanziario decisivo del
Conte Pollini e di altri privati che consentirono di
raggiungere l’accordo economico per il rilascio dei primi 486
schiavi tra il 4 e il 6 giugno 1803.
I
rimanenti 269 carolini giunsero a Cagliari il 30 giugno e il 4
luglio; questi, uniti agli altri 486, formarono il totale di
755 schiavi che fu il risultato del riscatto di massa.
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