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Carloforte e la sua storia
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La storia dei carlofortini ha origini geografiche lontane
che partono addirittura dalle coste nord-africane.
Racchiusa tra la montagna e il mare, dominata dal vecchio
forte a 15 chilometri dal confine algerino
(tra Bona e Biserta), la
penisola di
Tabarca
(una volta isola), si offre alla vista col
suo porto, una bianca ed immensa spiaggia verso est, una
costa ricca di scogli e guglie rossastre nella parte
occidentale; si estende per seicento metri da nord a
sud e quattrocento da est a ovest.
Dopo l’occupazione bizantina e successivamente quella
pisana, Tabarca nel 1535 divenne dominio spagnolo sotto il
regno di Carlo V che la cederà in concessione ai signori
Lomellini di
Pegli
nel 1541 per esercitarvi il commercio e la
pesca del corallo di cui i mari di Tabarca e delle zone
circostanti erano ricchi.
Le faccende di Tabarca, dominata dal
maestoso forte che ne proteggeva il porto naturale
e dominava il litorale dove si accampavano le tribù berbere
della regione, per tutto il XVI e il XVII sec. andarono a
gonfie vele; contenti i Lomellini che accumulavano
ingenti ricchezze,
parte delle quali contribuirono ad abbellire la città di
Genova con palazzi, opere d’arte e chiese tra cui la
chiesa dell’Annunziata;
contenti in fondo gli stessi tabarchini che, tutto sommato,
godevano di un certo
benessere anche se frutto di duro lavoro.
La piccola isola ospiterà per due secoli le famiglie della
Liguria che creeranno in terra africana uno dei migliori
esempi di organizzazione
politico-militare-amministrativa. Un Governatore
nominato dai Lomellini, coadiuvato da personale esperto
addetto agli affari commerciali e al traffico navale
del porto, sovraintendeva all’amministrazione di Tabarca.
Ospedale, chiesa, mulini, cantieri servivano la popolazione
costituita da un’efficiente maestranza che comprendeva
fabbri, armaioli, maestri d’ascia, calafati, bottai,
falegnami, fornai, interpreti, chirurghi e un parroco. La
milizia era composta da cinquanta soldati, comandata
da un tenente che rispondeva direttamente al governatore.
A Tabarca veniva coniata una moneta propria, che a
Genova era accettata alla pari.
Agli inizi del XVIII secolo, però, il
periodo di floridezza di Tabarca di colpo cessò e, per la
natura delle cose che segnano inesorabilmente il destino
dei popoli, iniziò la sua
decadenza. I banchi di corallo cominciarono ad
impoverirsi, la popolazione, di circa 2000 abitanti,
cominciò a diventare stretta su un territorio di appena
sette ettari (tale
era la superficie dell’Isola),
i matrimoni vennero vietati
e, fatto preoccupante, i corsari fiancheggiati dai Bey di
Tunisi e Algeri cominciarono a molestare e taglieggiare le
barche da pesca e con loro la popolazione tutta.
Si fece allora più pressante l’esigenza di cercare altre
terre più sicure e prosperose. L’occasione si presentò
quando il re Carlo Emanuele III attuò la politica di
ripopolamento in alcune zone della Sardegna, in particolare
le zone costiere.
L’intento del sovrano di Sardegna era quello di creare
centri fortificati allo scopo di allontanare dall’isola i
pirati che avevano trasformato alcuni approdi sardi in loro
covi. San Pietro era una delle terre da popolare.
L’isola venne esplorata nel 1737 da Agostino Tagliafico,
intraprendente mercante tabarchino che aveva ottenuto
l’incarico dal Viceré di Sardegna di elaborare un progetto
di colonizzazione dell’isola di San Pietro.
La visita durò
due giorni e si concluse con una
dettagliata
relazione nella quale erano elencate le evidenti
risorse che rendevano possibile un nuovo insediamento:
ricchezza di vegetazione, abbondanza d’acqua, fertili
terreni da coltivare, un luogo adatto per formare una bella
salina, una rada sicura dove attivare un porto e un sito
per la costruzione di un centro abitato fortificato.
L’intento non era soltanto quello di creare una nuova
colonia che ospitasse i tabarchini desiderosi di
allontanarsi dai pericoli che correvano a Tabarca, ma anche
quello di avviare, nella nuova terra, una
lucrosa
attività commerciale.
Il 7 ottobre del 1737, i propositi di una nuova
colonizzazione si conclusero con la stipulazione di un
Contratto di Infeudazione
tra il viceré di Sardegna,
Marchese di Rivarolo, e
Don Bernardino Genoves, conte di
Cuglieri e Scano, uno dei più ricchi feudatari del Regno
che si accollò le spese per l’insediamento della colonia,
ottenendo in cambio il titolo di duca di San Pietro.
Al Tagliafico, che aveva assunto l’incarico di Capitano di
Giustizia, verrà dato il titolo di conte di San Pietro.
Giunti nell’Isola il 17.4.1738, i primi
coloni, che erano 462 di cui
379 tabarkini e
83 provenienti direttamente dalla Liguria, si
misero subito al lavoro. Animati da quell’operosità
infaticabile e dal quel tenace spirito di iniziativa che
caratterizzano le popolazioni liguri, costruirono le prime
abitazioni, eressero le mura del
Castello, costruirono la prima chiesa di San Carlo,
ove il 13 luglio fu battezzato il
primo carlofortino,
certa Maria Caterina Ferraro, nata appena tre giorni prima.
Il 24 maggio si procedette alla elezione
del primo sindaco nella persona di GioBattista Segni,
antenato di Antonio Segni,
futuro Presidente della Repubblica Italiana.
In breve tempo i coloni, sotto l’intelligente guida
dell’ingegnere regio Augusto de La Vallée, scelto il
luogo più sicuro, trasformatisi in muratori, fabbri,
falegnami gettarono le fondamenta del primo nucleo del
centro abitato.
Chiesa, mura del terrapieno, bastioni, case di legno come
prime abitazioni sorsero sulla collinetta a nord-ovest in
vista di quel mare che sarebbe diventato fonte di vita e di
ricchezza.
Nacque Carloforte
ed i carolini, che amano chiamarsi tabarchini e tabarchino
è il loro dialetto, a poco a poco esplorarono l’isola.
Divisero a sorteggio i terreni suscettibili di sfruttamento
agricolo, da esperti liguri terrazzarono i terreni in
pendio, si trasformarono in contadini e naviganti
dediti al commercio con i più vicini porti del
Mediterraneo, ripresero la pesca del corallo, divennero
abili tonnarotti, attivarono le saline per fornire il sale
alle pescose tonnare del mare di San Pietro.
Le cose insomma stavano andando per il
meglio quando Carloforte fu turbata da due avvenimenti che
sconvolsero la sua esistenza: l’occupazione
francese e l’invasione
dei corsari tunisini. Dei due il più traumatico,
il più drammatico fu senz’altro il secondo perché gettò la
città nel lutto e nella disperazione.
Infatti nella notte tra il 2 e il 3 settembre 1798, una
flottiglia tunisina di 700 pirati sbarcò sul
litorale dell’isola e alle prime luci dell’alba mise a
ferro e fuoco la cittadina compiendo per due giorni
violenze e saccheggi senza riguardo per l’età e la
condizione sociale degli abitanti e devastando la stessa
chiesa.
Fu questo senza dubbio l’episodio più triste e drammatico
nella storia di Carloforte. Circa 800 carolini, più
della metà donne e circa 150 ragazzi, vennero
fatti
schiavi e deportati a Tunisi e lì rimasero cinque
lunghi anni in attesa che il Papa, i Savoia e altri sovrani
europei, primo fra questi Napoleone, intervenissero a loro
favore e li riscattassero.
Col ritorno degli schiavi la comunità
riconquistò la serenità perduta e con la costruzione del
muro di cinta
voluta dal nuovo
Re Vittorio
Emanuele I acquistò quella tranquillità di cui tanto
aveva bisogno.
Il 1800 fu per Carloforte un secolo di prosperità e
benessere economico. Il paese andò estendendosi sempre più
lungo la marina e la maggior parte dell’Isola s’andò
coprendo di abitazioni (le famose
baracche). Fiorì la
pesca del tonno
con le più ricche tonnare del Mediterraneo, fiorì l’industria
cantieristica che produsse navi da carico e
pescherecci tra i migliori allora in uso, come la celebre
“Carolina” che dominò i mari sardi per oltre due secoli, si
impiantarono industrie meccaniche, vanto e gloria del
lavoro carlofortino in Italia e all’estero, si aprirono
miniere.
Crebbe una formidabile generazione di navigatori che
con le loro indomite imbarcazioni, per lo più costruite nei
cantieri locali da abili maestri d’ascia, solcarono le
insidie del mare, iniziando redditizie attività commerciali
con la Penisola e con tutti i lidi del Mediterraneo.
Il porto divenne nei primi anni del XX secolo
il secondo della Sardegna,
uno dei principali in Italia per l’esportazione dei
minerali e dei prodotti ittici, e tale rimase fino
all’avvento della crisi che segnò per Carloforte la fine
del suo secolo d’oro.
Siamo alle porte della
seconda guerra mondiale
che non risparmiò, come la prima, l’Isola di San Pietro.
Carloforte fu particolarmente colpita ed ebbe numerose
vittime tra la popolazione civile, anche questa
volta innocenti ed indifese, seconda città della
Sardegna, dopo Cagliari, per le distruzioni subite.
Terminato lo scontro bellico, come tutte le nazioni che vi
parteciparono, l’Italia, non esclusa Carloforte, si ritrovò
in una situazione drammatica, in una realtà in cui
lutti
e rovine erano l’unica eredità rimasta.
Si ricominciò da zero;
oggi Carloforte, è una solida realtà regionale, rivolta al
futuro, ma con uno sguardo sempre al passato: dopo oltre
270 anni dalla partenza da Tabarca, si parla
diffusamente il tabarchino, una parlata che ha il
sapore del genovese antico.
Nueva Tabarca
Tabarca
Veduta del porto di Pegli (sec. XVI) da cui partì un gruppo di pescatori alla volta di Tabarca
Il Viceré di Sardegna Marchese di Rivarolo
Tabarca, scorcio del castello eretto dalla famiglia genovese Lomellini per proteggere il porto naturale e la costa
Tracciato del perimetro della cinta muraria iniziata nel 1806
Stemma nobiliare della famiglia Genoves
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