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La tradizione cantieristica
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Quella
delle costruzioni navali è una delle attività delle quali i
Carlofortini vanno maggiormente fieri. Tra i primi coloni –
provenienti da Tabarca – giunti a Carloforte nei mesi di
febbraio ed aprile del 1738,
trasportati dalla tartana del cagliaritano Paul Giraud e da un
vascello di nazionalità svedese, figuravano
i maestri d’ascia
Giuseppe e Giovanni Damele. Essi continuarono, nella nuova
colonia, il mestiere esercitato per anni a Tabarca al servizio
dei Lomellini (essendosi questi ultimi assicurati la
realizzazione e la manutenzione delle barche destinate alla
pesca del corallo, le cosiddette “coralline”).
Grazie ai loro
insegnamenti ebbe inizio a Carloforte quell’attività
cantieristica che per mano di alcune famiglie artigiane è
sopravvissuta fino ai nostri giorni, e che ha dato vita ad una
scuola di maestri d'ascia conosciuta ben oltre l’Isola di San Pietro.
L'ascia era infatti l'attrezzo
dei maestri dei cantieri di carpenteria navale:
abili artigiani in grado
di sagomare anche i legni più duri a colpi d'ascia, modellarli
attraverso l'acqua calda e il vapore,
in base all'uso e alla destinazione specifica di ogni pezzo, e
costruire dall'inizio alla fine imbarcazioni grandi o piccole
con un lavoro interamente manuale.
Nel 1756,
l’espandersi delle attività marinare rese necessaria la
costruzione di nuovi natanti. A tale scopo,avvalendosi delle
conoscenze tecniche dei fratelli Damele per la scelta del
legno più adatto, si provvide a reperire sull’isola la
preziosa materia prima; si rivelò particolarmente indicato il
pino d’Aleppo – diffuso tuttora in tutta l’Isola – ideale per uso marino
e impiegato per realizzare diverse parti dello scafo, tra cui
ponti,, fasciami e bagli.
La
perizia dei maestri d’ascia carolini, sempre più affinata,
diede impulso alle costruzioni navali. L’accrescimento
numerico si accompagnò presto ad un incremento del
tonnellaggio delle singole imbarcazioni. L’impossibilità di
reperire sul luogo tutto il legname occorrente rese necessaria
l’importazione parziale della materia prima da alcuni centri
della Penisola, privilegiando nella scelta la
Liguria, terra con la quale Carloforte mantenne sempre un
particolare rapporto di fratellanza.
Così venne
introdotto il rovere, un
legno molto pesante, duro ed efficace nella resistenza
all'azione marina, adoperato per il fasciame e le ossature. Si
fece largo uso anche dell'elce
(aveva una fibra più compatta rispetto al rovere), il
faggio (le sue fibre lunghe e
pieghevoli servivano a realizzare aste e remi), il
teak (molto pregiato,
adoperato per le rifiniture) e il
pino di Svezia (importato dalla Toscana, ci si
costruiva la coperta).
I tronchi venivano trasformati dai
cosiddetti “segantini”, artigiani specializzati nel taglio del
legno, che li lavoravano secondo le indicazioni impartite loro
dai maestri d’ascia, adoperando una tipica sega rettangolare a
due mani nota "verdughillu".
Oltre ai segantini, i cantieri navali
potevano contare sulla professionalità di una serie di
artigiani dalle diverse specializzazioni. Non mancavano perciò
i fabbri, ai quali si commissionavano una serie di
indispensabili attrezzi da lavoro; grande importanza
assumevano anche i cosiddetti “ciavieri” (dal verbo “ciavô”,
inchiodare), artigiani abilissimi che fissavano all’ossatura
della costruzione tutte le parti esterne. Infine i
“calafati”,
non inquadrati nelle maestranze del cantiere, che venivano
impiegati, ultimata la costruzione dell’imbarcazione, per i
lavori necessari a rendere stagni il
fasciame ed il
rivestimento dei ponti; il costo
della loro manodopera era a carico del committente della
costruzione.
Nonostante la pionieristica attività dei Damele, ai quali va
riconosciuto il fondamentale contributo alla nascita della
scuola artigiana dell’Isola di San Pietro, non è erroneo
datare l’inizio dell’attività cantieristica navale in forma
organizzata intorno al 1810,
allorchè il trapanese Gaspare
Gavassino diede vita al primo cantiere di Carloforte, sorto
all’interno del porto – che tale non era ancora – presso il moletto
San Carlo. Da allora e sino allo scoppio della Seconda Guerra
Mondiale la cantieristica carlofortina, pur limitando la
propria produzione al piccolo tonnellaggio, non conobbe mai
periodi di crisi.
Nel 1872 i cantieri carolini furono addirittura gli unici in
tutta la Sardegna a ricevere commesse: sei bastimenti per
complessive 97 tonnellate di portata.
Nella
prima metà del secolo scorso si contavano ancora numerosi
cantieri, ognuno dei quali assicurava il lavoro ad una decina
di persone tra maestri d’ascia e carpentieri. Fino al 1929
erano in attività i cantieri di
Mario Saliu, Quintino Rivano, Pasquale Biggio,
Ferralasco-Gavassino, Rossino-Gavassino, Michele Biggio,
Giuseppe Biggio e Antonio Pellerano.
La
tradizione dei maestri d'ascia, nonostante una decisiva
flessione dovuta all'impiego della vetroresina nella nautica,
sopravvive a Carloforte ancora oggi (anno 2010), in due
cantieri (di Angelo Biggio
e Tonino Sanna) nei quali i giovani maestri d'ascia proseguono con
entusiasmo il lavoro ereditato e custodito negli anni dai
liguri di Tabarca.
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