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La pesca del corallo: condizioni di lavoro
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Alle
diverse testimonianze raccolte, il
prof. Parona aggiunse alcune
ispezioni eseguite recandosi di
persona sui luoghi di pesca; egli procedette ad effettuare
varie ricognizioni al largo del mare antistante Carloforte,
per rendersi conto delle difficoltà della pesca e della
situazione produttiva dei banchi. Le barche utilizzate,
piccole e malsicure, armate con
vela latina, giudicate dallo
stesso Parona decisamente non adatte alla pesca, suscitarono
in lui un’impressione negativa.
I
Carolini usavano quelle barche, di 5 o 6 tonnellate appena,
sia per la mancanza di capitali per armarne di più grandi, sia perchè, a detta degli stessi proprietari, esse pescavano le
stesse quantità che avrebbero raccolto utilizzando barche di
maggiore portata, con la differenza che essendo minore il
personale imbarcato, maggiori sarebbero stati di conseguenza i
dividendi.
Parona,
colpito dalla scarsa affidabilità della flottiglia di barche
dedite a quel tipo di pesca, caldeggiò l’uso di velieri di
maggiore
stazza, e preferibilmente di piroscafi, per una
navigazione più agevole e sicura in mare aperto.
Dall’osservazione diretta della fatica e dei disagi affrontati
dai pescatori, sprovvisti anche di argani meccanici per issare
le reti a bordo delle imbarcazioni, Parona rimarcò anche la
mancanza assoluta di strumenti di orientamento, cosa per la
quale rimase, una volta di più, negativamente colpito. I
marinai si servivano di punti fissi sulle coste (case, cime di
monti, scogli) difficilmente distinguibili, però, in caso di
maltempo; inoltre non sempre veniva seguita dai corallari
carlofortini l’abitudine di ricorrere a segnali galleggianti
(le cosiddette “segnée”) per individuare successivamente i
posti di pesca.
Generalmente, i pescatori prendevano il mare la sera della
domenica per fare rientro in porto solo il sabato successivo.
Essi riposavano di notte sul luogo di pesca o trovavano riparo
in qualche cala lungo la costa, senza però sbarcare a terra;
essi dormivano dentro le barche tirate in secco, su materassi
confezionati con alghe secche (perpetuando così un’abitudine
in uso a Tabarca nel 1700), al riparo di una tenda per
sottrarsi all’umido e alle intemperie stagionali.
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