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Lo sviluppo della marineria: il trasporto del minerale
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Le basi per
l’imbarco del minerale situate sulle spiagge sarde erano del
tutto prive di attrezzature e per giunta limitate nella loro
capacità d’attracco. Giungere per primi, oltre ad assicurare
la precedenza delle operazioni, permetteva l’effettuazione di
più viaggi in un giorno, almeno per gli approdi più vicini.
La
traversata, dalle sei miglia per Portovesme... alle
quaranta per Piscinas, costringeva i battellieri a
partire da Carloforte a sera inoltrata per giungere a
destinazione alle prime luci dell’alba. Alla partenza, le
barche, prive di carico, dovevano essere adeguatamente
appesantite per potere tenere il mare; la fatica del
battelliere, perciò, iniziava con il caricare i
sacchi di
zavorra – in genere riempiti con sabbia
– che venivano più tardi gettati in acqua, in prossimità
dell’approdo.
Per il
carico del minerale, effettuato esclusivamente a mano, i
marinai si servivano di tavoloni dal
precario
equilibrio che dal battello giungevano fino alla spiaggia.
Si trattava di un lavoro durissimo, che comportava lo
stivaggio di barche della portata di oltre 10 tonnellate. In condizioni di
bassa marea,
a causa del pescaggio delle imbarcazioni che non consentiva ad
esse di avvicinarsi sufficientemente alla riva, gli uomini,
impediti a coprire tutta la distanza battello-spiaggia con
pontili mobili, erano costretti a ricorrere al
trasporto sui
canotti, con un immaginabile supplemento di fatica.
Due
persone erano addette a riempire i sacchetti da 40/50 kg
(sostituiti poi dalle coffette) e altri
quattro o cinque
si improvvisavano facchini e terrazzieri per l'operazione di
carico e stivaggio del minerale; il tutto a velocità
frenetica, senza limitazioni di carico: l'equipaggio
era pagato non a viaggio, ma un tanto a tonnellata.
Il rientro
sull'isola di San Pietro, dopo la traversata a vela o addirittura
a forza di
remi in totale assenza di vento (fin tanto che non apparvero i
primi rimorchiatori alla fine del XIX secolo) avveniva ben
oltre il tramonto e prevedeva il ripetersi degli sforzi,
dovuti, questa volta, alle operazioni di scarico.
Il minerale
veniva stoccato nei diversi magazzini situati lungo il
litorale: allo Spalmadoreddu quello della società Vieille
Montagne, a Taccarossa ed allo Stagnetto rispettivamente
quello della Malfidano e di Masua; i prodotti estratti a
Piscinas ed a Nebida venivano depositati nei locali situati
nell'area dove attualmente sorge l'Istituto Nautico.
Gli
uomini adibiti a queste dure mansioni vantavano una forza non
comune; ma anche il fisico poderoso che li sorreggeva veniva
minato da quelle condizioni di lavoro oltremodo faticose: il
pulviscolo
della calamina ed il maneggio continuo del minerale provocava
gravi affezioni polmonari e lesioni cutanee.
Il logorio
fisico era talmente rapido che, mediamente, i battellieri
dovevano abbandonare il lavoro prima di aver raggiunto i
quarantacinque anni di età.
Periodicamente, allorché il prodotto sistemato nei depositi
raggiungeva determinati quantitativi, si procedeva al carico
del minerale sulle navi ancorate in rada destinate ai porti
del continente. Anche per le operazioni di trasbordo a
Carloforte, i marittimi non potevano giovarsi delle
attrezzature del porto, ancora lungi dall’essere realizzato.
Di conseguenza, i grossi bastimenti, in assenza di banchine
alle quali attraccare, dovevano servirsi dei
battelli che si
presentavano sottobordo per l’imbarco del minerale prelevato
dai magazzini. A tal fine, sulle fiancate dei bastimenti
venivano predisposti i “quartieri”, sorta di scale pensili,
sulle quali prendevano posto i galanzieri che effettuavano il
“passamano” del minerale.
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