> Tonno > Il tonno come alimento
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La conservazione del tonno
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Sebbene siano diversi i pesci che hanno
conquistato il gusto del consumatore, uno dei primi posti
della classifica spetta sicuramente al
tonno. Un
pesce che offre, come pochi, una vasta tipologia di piatti.
Ma non solo: come per il maiale, del tonno non si getta
niente o quasi.
Essendo la pesca uno dei mezzi più antichi
per procurarsi del cibo, nel tempo, sono stati inventati
vari sistemi per conservarlo.
Di questi, il primo fu forse
l’essiccazione. Il
procedimento è semplice: consiste nell’eliminazione
(parziale) dell’acqua presente nel tessuto del pesce.
Dopo avere tolto al tonno freschissimo le viscere, la
lisca, testa e coda, viene tagliato a pezzi, lavato con
acqua salata e messo ad asciugare, un tempo, all’aria e al
sole e, oggi, con aria calda in sterili ed appositi locali.
Il prodotto più noto derivato da questa tecnica è
senz’altro il
musciame
(dall’arabo
mosciabah,
cioè pesce secco), filetto di delfino essiccato; da
anni ne è giustamente vietata la produzione e quello che si
trova in commercio è, appunto, di tonno. La stessa
tecnica viene impiegata per il cuore del tonno. Molto
frequenti erano, secoli fa, l’essiccazione dei dorsali
(musciame) e del cuore del delfino, appesi agli
alberi
dei velieri.
Altrettanto antica,
la salagione. Il
metodo comprende due versioni. Nella prima, il tonno
fresco, dopo essere stato preparato come il precedente,
viene tagliato a fette e cosparso, a più riprese,
di sale che, essendo igroscopico, ne toglie l’acqua e
lo conserva. La seconda, sempre partendo dal tonno fresco e
pulito, consiste nell’immergerlo in salamoia. Entrambi i casi prevedono una stagionatura che va da 6 a 12
mesi. Anticamente venivano conservati e commercializzati in
botti di legno.
Sempre con la salagione deriva dal tonno
un’altra golosità: la
bottarga
(dall’arabo
bùtarikh;
esiste anche di cefalo), ossia le uova essiccate di
questo pesce.
Tolta la sacca ovarica dal ventre del tonno femmina, viene
lavata con acqua di mare e, successivamente, salata su
entrambi le parti, e posta su tavole di legno con
sopra dei pesi (una volta grosse pietre). La salatura,
effettuata una volta al giorno, prosegue sino a quando non
c’è più residuo di liquido. Anch’essa di antiche origini,
la bottarga, tagliata a lamelle come il musciame,
insaporiva la
capunadda
(piatto freddo nato sulle navi, quando, per via del rollio
della nave, non era possibile accendere i fornelli), il
cundiggiun e oggi, paste, risotti e zuppe di pesce.
Più relativamente recente,
l’affumicatura, che
consiste nell’esporre i pezzi di tonno già preparato, al
fumo ottenuto da legni aromatici. I vari composti che
sono nel fumo svolgono tre funzioni: disidratano e quindi
asciugano la carne, l’aromatizzano e inibiscono le
alterazioni microbiche.
L’ultima, ma la più recente, è
sott’olio. A livello
industriale, il tonno già pulito ed eviscerato, viene
tagliato a pezzi, cotto con o senza aromi,
messo in
scatole di latta o in vasetti di vetro, compresso e
coperto d’olio d’oliva. Fa seguito la chiusura ermetica e
la sterilizzazione in autoclave (110-120°C).
Lo stesso procedimento, ma con
l’acqua
di cottura filtrata, per il tonno
al naturale.
Già nel XIV secolo gli spagnoli e i portoghesi
commercializzavano il tonno sott’olio di oliva, conservato
in barili di legno. Da qui la nascita, dopo la metà
del 1800, delle prime industrie che confezionano il
tonno in scatola.
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