IL DIALETTO

 

 

 

 

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Accenti

   

 

Nel dialetto tabarkino tutte le parole tronche (che hanno, cioè, l’accento tonico sull’ultima sillaba) devono portare l’accento grafico.

Es.: cuntatù (contatore), frè (fratello), fainò (farinata), mainò (marinaio).

 

Per le parole piene e le parole sdrucciole, l’accento grafico non è obbligatorio. Però il suo utilizzo è consigliabile:

1)   su alcune parole uguali nella scrittura che mutano significato col mutare dell’accento.

Es.: càrega (carica), caréga (sedia), àncua (ancora), ancùa (tipo di carne di bue);

 

2)   sui vocaboli omonimi i quali cambiano significato secondo che la e oppure la o si pronunciano larghe o strette.

Es.: còu (caro), cóu (cavolo), cètu (pettegolezzo), cétu (ceto), (piede, piedi), (pale), còru (carro), córu (coro), etc.;

 

3)   tutte le volte che lo si ritiene utile ai fini di una migliore lettura e comprensione della parola.

Es.: sèa (seta), (mare, male), (cielo), (già), catapròjimu (cataplasma), gurési (gola del tonno), zenzìe (gengive), ègua (acqua), ravacóu (cavolo), màiu (marito, maturo), cèu (chiaro).

 

 

Gli accenti con i quali si possono segnare le vocali sono tre: acuto, grave, circonflesso.

L’accento acuto indica che la vocale ha suono chiuso.

Es: cétu (ceto), gurési (gola di tonno), caréga (sedia), séu (sego), córu (coro).

  

L’accento grave indica che la vocale ha suono aperto.

Es.: fètu (fatto), pulènta (polenta), fainè (farinate), còru (carro).

  

L’accento circonflesso indica la fusione di due vocaboli uguali in una sola, dal suono prolungato.

Es.: (per le) e non pe-e, (mie) e non me-e, (dalla) e non da-a, (per la) e non pa-a.

 

Notare la differenza:

damme u lète pe me sö (dammi il latte per mia sorella)

damme u lète pê mê sö (dammi il latte per le mie sorelle)

 

 

Per l’accentatura grafica delle parole è bene regolarsi come segue:

1)   sulle vocali a-i-u, si pone sempre l’accento grave.

Es.: cashcà (cuscus), macurdì (mercoledì), Tatù (Salvatore);

 

2)   sulle vocali e-o, si pone:

a)   l’accento grave se la vocale ha un suono largo.

Es.: cètu (pettegolezzo), bancò (falegname), sòrsu (salsedine), còrne (carne).

b)   l’accento acuto se la vocale ha un suono stretto.

Es.: caréga (sedia), sórsu (sorso), córne (corna), preghéa (preghiera).

 

 

 

 

 

Testi estratti da "DA TABARKA A S. PIETRO - Nasce Carloforte" di Giorgio Ferraro

 

 

 

 

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